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News Giurisprudenza e Mediazione

I contenuti riportati non hanno carattere di ufficialità.

[ mercoledì 17 febbraio 2016 ]

Il mediatore deve verbalizzare le ragioni per le quali le parti non intendono proseguire oltre il primo incontro di mediazione

Trib. di: Roma - Ordinanza del: 25-01-2016 - Giudice: Massimo Moriconi
Materia: Altre - Argomento: Invito alla mediazione, Primo incontro di mediazione, Verbale di mediazione


TRIBUNALE  di ROMA  Sez.XIII°

ORDINANZA

Il Giudice, dott. Massimo Moriconi,

letti gli atti, osserva:

 1 . Nella causa epigrafata, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento relativa ad un danno subito dall’attrice L.Z. a seguito di un trattamento estetico per la ricostruzione delle unghie, il giudice, dopo una breve istruttoria, disponeva la mediazione demandata con ordinanza dell’ 11.5.2015.

Con tale ordinanza il giudice, oltre ad indicare, secondo un modello procedimentale già positivamente sperimentato in altre cause, i punti sui quali le parti in mediazione avrebbero potuto utilmente dirigere ed approfondire la discussione con l’ausilio e la fattiva presenza di un mediatore dell’organismo prescelto, evidenziava (icasticamente, visto che il testo veniva redatto in neretto sottolineato), con significativo avvertimento, la necessità della effettiva partecipazione delle parti al procedimento di mediazione demandata  [1] , invitando altresì il mediatore a verbalizzare le dichiarazioni delle parti all’esito dell’introduzione del procedimento da parte dello stesso mediatore, per le valutazioni di competenza da parte del giudice nel caso la causa fosse proseguita [2] .

Sempre nella medesima ordinanza, il giudice ricordava che “la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa

La causa in effetti proseguiva, e nel verbale di mediazione del 6.7.2015, la mediatrice dott.ssa  M.R. dell’Organismo A. di Roma, dava atto che:

erano comparsi L.Z. (attrice della presente causa) istante, assistita dall’avv. S. R., e V. D. (convenuta nella presente causa) convocata,  assistita dall’avv.to M.C.;

aveva illustrato alle parti compiutamente le modalità del procedimento di mediazione;

aveva invitato le parti ad esprimersi sull’interesse (sic, n.d.r.) a proseguire nella procedura di mediazione;

la parte attrice aveva manifestato il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione;

la parte convenuta NON manifestava il proprio assenso all’avvio della procedura di mediazione; ed infine

che le parti dichiaravano l’esito negativo del primo incontro di mediazione, dando atto della volontà delle parti di non dare prosecuzione al procedimento

 2 . Va premesso che la verbalizzazione ad opera della mediatrice delle suddette dichiarazioni delle parti è ammissibile e corretta (salvo quell’ “interesse” su cui si dirà in prosieguo).

E’ opportuno, a tale proposito, esporre sinteticamente il quadro normativo in tema di mediazione, riservatezza e verbalizzazione del mediatore

Il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza  [3]  il che sta a significare che al fine di consentire l’effettiva possibilità delle parti di poter parlare liberamente  senza la remora che eventuali dichiarazioni a sé sfavorevoli possano essere utilizzate nella causa, non si devono verbalizzare (da parte del mediatore) né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni  che neppure possono essere oggetto di testimonianza et similia… .

Occorre però perimetrare con esattezza giuridica tale principio.

Che, in primo luogo, non vale, per espressa disposizione di legge (art. 9 cit.) contro la volontà della parte dichiarante

Inoltre, per coerenza logico-giuridica con quanto testé osservato a proposito della tutela della libertà di dialogo che va garantita alle parti,  il principio relativo alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti deve essere riferito al solo contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione, vale a dire al merito della lite.

Ogni qualvolta, invece, tali dichiarazioni, quand’anche trasposte al di fuori del procedimento di mediazione, riguardano circostanze che attengono alle modalità della partecipazione delle parti alla mediazione e allo svolgimento (in senso procedimentale) della stessa, va predicata la assoluta liceità della verbalizzazione e dell’utilizzo da parte di chicchessia.

Ed invero, in tale ambito una compiuta verbalizzazione è necessaria al fine di consentire al giudice la conoscenza del contenuto della condotta delle parti nello specifico contesto di cui trattasi; conoscenza indispensabile in relazione alle previsioni del decr.lgsl.28/2010 relative alla procedibilità delle domande ed all’art.8 co. 4 bis  [4]  dello stesso decreto, nonché, in via generale, dell’art.96 III° cpc .

Sarebbe infatti un’assoluta aporia prevedere da una parte che il giudice debba e possa sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro precludergli la conoscenza e la valutazione degli elementi fattuali che tale ritualità o meno integrano.

Per la medesima ragione, deve essere verbalizzata dal mediatore la risposta di ciascuna delle parti interpellate alla fatidica domanda (del mediatore) sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione (art. 8 co. I° quinto periodo decr.lgsl.28/2010)

A tale proposito, oltre alla dichiarazione consistente nella risposta alla predetta domanda, è necessario e doveroso che venga verbalizzata la ragione del rifiuto a proseguire nella mediazione vera e propria.

Ciò, sempre che la parte dichiarante la esponga e chieda la relativa verbalizzazione (peraltro nell’ambito delle attività del mediatore, sarebbe buona prassi degli organismi fornire alle parti, oltre le informazioni che la legge prevede, quelle relative allo stato della giurisprudenza sulle questioni più rilevanti e di interesse in tema di mediazione).

Come si vedrà in prosieguo, la ragione del non voler proseguire oltre l’incontro informativo non è affatto irrilevante per la parte.

E se, di sicuro, il mediatore non è tenuto a richiedere ad essa la ragione di tale rifiuto, neppure può esimersi dalla relativa verbalizzazione, ove richiesta dall’avente diritto.

Ed invero ogni parte può esonerare il mediatore dall’obbligo di riservatezza relativamente alle sue dichiarazioni (cfr. art. 9 della legge).

Ciò assume specifico rilievo nel caso in cui, come quello in esame, la dichiarazione abbia notevole rilevanza nel contesto delle varie norme che disciplinano il procedimento di mediazione.

Conclusivamente, il mediatore deve trascrivere ogni circostanza – quand’anche consistente in dichiarazioni delle parti – utile a consentire (al giudice) le valutazioni di competenza, altrimenti impossibili, attinenti alla partecipazione (o meno) delle parti al procedimento di mediazione ed allo svolgimento dello stesso, come pure le circostanze che attengono al primo incontro informativo. In relazione al quale la parte che rifiuta di proseguire può esporne la ragione chiedendo che venga trascritta, con il correlativo obbligo del mediatore di verbalizzarla.

Il mediatore non è né un collaboratore del giudice né un suo ausiliario, ma lo schema della legge prevede, in sommo grado nella mediazione demandata, una serie di link che non possono essere ignorati fra il procedimento di mediazione e la causa.

Fra essi vanno ricordati in primo luogo la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5 commi 1 bis e 2, nonché le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo di cui all’art. 8 co. 4 bis, gli effetti nella causa della proposta del mediatore di cui all’art. 13, l’efficacia di titolo esecutivo del verbale di accordo ove regolarmente asseverato dagli avvocati che abbiano assistito le parti che hanno aderito alla mediazione di cui all’art.12 e, benché non espressamente affermato dalla legge, la producibilità nella causa della relazione dell’esperto di cui all’art. 8 co. 4  [5] .

Una corretta verbalizzazione da parte del mediatore delle circostanze che attengono a segmenti del procedimento di mediazione che, in vario modo, rilevano e si riverberano nella causa, si appalesa quindi più che utile, doverosa e necessaria.

Ed il giudice svolge a tale fine una fondamentale attività didattica e di raccordo, nella grande varietà di condotte, non sempre approvabili, che emergono dall’esame dei verbali degli organismi di mediazione [6] .

3.1 . La natura dell’incontro di mediazione di cui all’art 8 co. quinto della legge  [7] .

Sulla base di una interpretazione meramente letterale delle norme (cf. pure il comma 2 bis  [8]dell’art.5 della legge) ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista lapossibilità di iniziare la procedura di mediazione, si potrebbe ritenere che  l procedimento di mediazione sia concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata.

L’erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.

Sarebbe a dire, in altre parole, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste in ciò che è ben descritto nella lettera a. dell’art.1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell’art.11 della legge) e dall’altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (che conseguentemente  non si è svolta) … la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta … .

Un perfetto ossimoro.

Aderendo a tale accezione si deve postulare che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo ha ordinato !), ottenendo il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che la mediazione fosse stata esperita davvero.

Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale.

Non solo.

Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual’è quella che ci occupa) possano rapportarsi alle informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del “primo incontro” (“il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione”) come davanti ad unquid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, la prospettiva della mediazione, è cosa confliggente con la realtà, posto che invero le parti sono state già adeguatamente, abbondantemente e preventivamente informate di che trattasi. Una prima volta al momento del conferimento del mandato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia dell’informativa mancata, con l’intervento supplettivo del giudice) ed una seconda, all’atto della doverosa informativa dell’ avvocato al cliente del contenuto dell’ordinanza di mediazione demandata.

Ed ancora.

Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione.

A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti di discussione, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica null’altro che  mera ingiustificata renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice.

 3.2 . Quale che sia stato l’intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in commento un’interpretazione in linea con la Carta Costituzionale.

Va premesso che per molto tempo, nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato  su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale.

Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle.

Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.

Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione dellainterpretazione costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario.

Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall’ordinamento giuridico come fa la Corte.

Tuttavia, con l’avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire l’opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e, più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell’ingente lavoro che la onera).

Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio.

Nel caso in esame, l’interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale.

Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all’art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l’irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d.tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere il suo lavoro). L’interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e somministra le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni.

Successivamente, ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all’art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.

Anche in base a tale parametro l’interpretazione letterale non supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente,  per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno) può predicarsi realizzata validamente la impossibilità di iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l’inveramento della condizione di procedibilità e l’assenza di sanzioni).

Tale interpretazione è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione.

Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento integrale della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali ragioni “pregiudiziali” non rendano possibile, nel senso di utilmente svolgibile, l’esperimento conciliativo; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l’opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte (per quanto all’evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione  [9]  )

 4 . In mancanza di qualsiasi dichiarazione, autorizzativamente verbalizzata, della parte, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato.

Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato-  di procedere nella mediazione sono sovrapponibili alla mancanza tout court della (partecipazione alla) mediazione: non della mediazione, in virtù della dichiarazione dell’istante-attrice di voler procedere

Con quanto ne può conseguire.

Non può infatti essere oggetto di dubbio che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non possa giammai, e specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell’esperimento della mediazione

La quale, giova ricordarlo, consiste nell’ “attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” (così testualmente l’art. 1 co.1 lett. A della legge).

 5 . Con tali premesse, non si ritiene necessario disporre la consulenza tecnica medica sulla persona dell’attrice (e sugli atti), essendo la causa matura per la decisione.

P.Q.M.

a scioglimento della riserva che precede,

RIMETTE le parti davanti a sé all’udienza del 28.11.2016 h. 9.30 per le conclusioni e per la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies cpc  con termine per eventuali note autorizzate fino a dieci giorni prima.

Roma lì 25.1.2016

                                                                                          Il Giudice

                                                                          dott.cons.Massimo Moriconi

 

[1] ” E’ richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa “.

[2] E il mediatore dovrà fissare a verbale quali siano state le posizioni delle parti al riguardo, anche al fine di consentire al giudice le valutazioni di competenza, relativamente alle condotta delle parti, ai sensi degli artt.5, 8 decr.lgsl. 28/10 e artt. 91 [2] e 96 III° cpc .

[3] Art.9 decr.lgsl.28/2010 – Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.

Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.

Art.10 decr.lgsl.28/2010 – Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sulle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio

[4] Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.

[5] Come ritenuto dalla giurisprudenza, sono altresì verbalizzabili le operazioni  ed il contenuto sostanziale della consulenza in mediazione (cfr.ordinanza 17.3.2014 Tribunale civile di Roma giudice Moriconi – http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore  del 18.3.2014) che non si sostanziano in dichiarazioni.

[6] Ad esempio, a testimonianza di una certa diffusa confusione che regna negli organismi, di certo alimentata dalle imprecisioni della legge, non può tacersi che, nel caso in esame, erroneamente nel verbale di mediazione dell’organismo presso il quale è stata svolta la mediazione è scritto, verosimilmente con modulistica idonea a perpetuare l’errore, che il mediatore ha richiesto alle parte ad esprimersi “SULL’INTERESSE” a proseguire nella procedura di mediazione. Si tratta di locuzioneinventata dal mediatore (o meglio, verosimilmente, dall’organismo, che pone in uso tali moduli). La legge dice altra cosa, parla infatti di “possibilità” che come insegna la giurisprudenza – in primis quella fiorentina, ordinanza Trib.Firenze Pres.Luciana Breggia 26.11.2014, ed a seguire ex multis Trib. Firenze, sez. specializzata imprese, ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it ; Trib. Roma, ord., 30.06.2014, in www.101mediatori.it ; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in www.adrmaremma.it ; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014, Trib. di Palermo ord. 16.7.2014 – attiene “a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolare l’esperimento di mediazione e non alla volontà delle parti di proseguire” (così testualmente ord. Trib.Firenze 26.11.2014 cit)

[7] Art. 8: Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.

[8]  Art. 5, c. 2-bis – Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.

 

 

[9]  E’ di tutta evidenza l’illogicità e la pochezza dell’argomento: il presupposto normativo e assiologico dell’istituto mediazione è per l’appunto che vi sia una lite (che mediante l’ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l’opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta, ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite !

[ venerdì 29 gennaio 2016 ]

La mancata partecipazione della P.A. in mediazione può esporla a danno erariale

Trib. di: Roma - Ordinanza del: 22-06-2015 - Giudice: Massimo Moriconi
Materia: Altre - Argomento: Danni erariali Pubblica amministrazione, Mancata partecipazione


RG……3-12
TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°
ORDINANZA

Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
Riservato all’esito di quanto segue la decisione sulla ammissione di ulteriori mezzi
istruttori.
Si ritiene quindi che in relazione all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti
già emessi dal giudice ed all’esito di quelli che potrebbe assumere in prosieguo, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo.
Infatti, considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una tale soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte.
Trattandosi, specialmente quanto alla convenuta R. C., di amministrazione pubblica (ma analogo discorso vale per l’A. società per azioni ma di fatto ente controllato dal Comune di Roma e di rilevanza pubblica) si rammenta che, laddove ciò dovesse essere utile per pervenire ad un accordo conciliativo, non vi sono ostacoli a che i rispettivi funzionari delegati possano gestire la procedura di mediazione e, nell’ambito dei poteri loro attribuiti, concludere un accordo.
Ricorrendone i presupposti, anche osservando le indicazioni contenute nelle linee guida in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali per l’attuazione
dei procedimenti di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante “Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno 2009, n.69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” circolare DFP 33633 10/08/2012 n. 9/2012 per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.
Vale altresì sottolineare che l’eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica (e dell’Acea) potrebbe esporre a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo sulla proposta del giudice e/o dell’invio in mediazione comparativamente valutato rispetto al contenuto della sentenza.
Conseguenze che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe doveroso segnalare agli organi competenti (Corte dei Conti).
Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa ordinanza.
Benchè la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente.
Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.
Alle parti si assegna termine fino alla data del 30.10.2015 per il raggiungimento di un
accordo amichevole sulla base di tale proposta.
Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Si sottolinea ulteriormente che la proposta del giudice è permeata in questa fase da un contenuto di equità.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt.91 (1) e 96 III° cpc (2).

P.Q.M.

• INVITA le parti a raggiungere un accordo conciliativo/transattivo sulla base della proposta che il Giudice redige in calce; concedendo termine fino alla data del 30.10.2015;
• DISPONE che le parti, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, procedano alla mediazione della controversia;
• INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° co.decr.lgsl.28/2010;
• INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
• FISSA termine fino al quindicesimo giorno dalla scadenza del primo termine indicato supra per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti
congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
• RINVIA all’udienza del 31.3.2016 h.9,30 per quanto di ragione.
Roma lì 22.6.2015
Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

PROPOSTA FORMULATA DAL GIUDICE AI SENSI DELL’ART.185 BIS CPC

Il Giudice,
esaminata la relazione dei CTU e lette le note dei CTP;
considerato che la prova del caso fortuito è incombente rigoroso e di non facile raggiungimento, di cui è onerato il debitore;
considerato che la fattispecie presenta oltre ad aspetti giuridici strettamente connessi agli eventi, implicazioni che ne esulano in tutto o in parte ma che pur tuttavia è difficile trascurare (come l’origine abusiva degli insediamenti, in particolare quello dell’attrice è ancora carente di concessione in sanatoria; il pesante carico di attività di urbanizzazioni di cui la collettività e per essa il Comune di Roma si è dovuto fare carico; lo smaltimento delle acque chiare avviene in modo surrettizio e disordinato per i ritardi di R. C. nell’apprestare opere sicuramente di notevole portata e costi, idonee al fine di gestire le acque chiare in modo diversificato da quelle reflue degli insediamenti, etcc.)
letti gli atti del procedimento,
ritenutolo opportuno,

P R O P O N E

il pagamento a favore di (…) ed a carico di spa (…) e di (…), ciascun ente per la metà, della complessiva somma di €.40.000,00 oltre alla somma di €.6.000,00 più accessori per compensi nonché delle spese di consulenza tecnica di ufficio.
Il Giudice
dott.Massimo Moriconi

(1) Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92.
(2) Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

[ martedì 19 gennaio 2016 ]

5/16. Consiglio di Stato, d.m. 180/2010: spese di mediazione e primo incontro (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2016)

In parziale riforma della sentenzaimpugnata, è respinto il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art.16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, confermando per il resto la sentenza medesima. Pertanto, in caso di esito negativo del primo incontro, in applicazione del comma5-ter dell’art. 17. D.lgs. 28/2010, non può che essere esclusa la debenza delle spese di mediazione (che comprendono “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”), diversamente dalle spese di avvio, le quali vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie (I) (II) (III) (IV).

Il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione.

Quanto alla disciplina della mediazione obbligatoria, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Cortecostituzionale con la sentenza n. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale (V).


Consiglio di Stato
sezione quarta
sentenza
17 novembre 2015
 
Omissis
 
1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:
- ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio tempore intervenuta;
- ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primarie a monte della censurata disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione “pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005, nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva rileva:
- che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de quibus finiscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
- che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali - i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte qua della disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
 
PQM
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
[ giovedì 07 gennaio 2016 ]

2/16. Cassazione, opposizione a decreto ingiuntivo: l’onere della mediazione obbligatoria deve gravare sull’opponente (Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2016)

Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segua l’opposizione (I), è sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex articolo 653 c.p.c. Difatti, l’art. 5, d.lgs. n. 28 del 2010 (II) è stato costruito in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretato alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale; in questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio (III): cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.


 

Cassazione civile
Sezione III
3 dicembre 2015
Sentenza n. 24629
 
Omissis
 
Svolgimento del processo
 
La --- srl ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza del 16.5.2013 con la quale la Corte d’Appello di Torino – in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su ricorso della --- srl per il pagamento di canoni di locazione – aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione proposta per il mancato avvio della mediazione obbligatoria ai sensi del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5.
Resiste con controricorso la --- srl.
 
Motivi della decisione
 
In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente.
Vero è che è ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli articoli 353 e 354 c.p.c..
Nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dai citati articoli 353 e 354 c.p.c., e’ necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito.
Diversamente, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito e’ inammissibile, oltre che per un difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione (S.U. 14.12.1998 n. 12541; da ultimo Cass. 29.1.2010 n. 2053; Cass. 25.9.2012 n. 16272).
Ma questo solo se la pronuncia abbia deciso anche nel merito in senso sfavorevole all’impugnante; situazione che non si e’ verificata nel caso in esame di pronuncia, solo in rito, sulla improcedibilità della opposizione.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione, falsa applicazione di norma di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3): in particolare, violazione del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5. La disposizione di cui al Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio.
La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale.
In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse.
Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo.
Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione.
Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere.
Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta.
Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo.
E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore.
E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga.
La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice.
Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.
E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex articolo 653 c.p.c..
Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale.
Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.
Il motivo, quindi, non è fondato.
Con il secondo motivo si denuncia vizio di omessa, insufficiente, e comunque contraddittoria, motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Il motivo è inammissibile perché aspecifico.
La ricorrente, al di là della critica, soltanto enunciata, non specifica, ne’ riporta in ricorso, quali siano le parti della motivazione insufficienti, carenti o contraddittorie, ne’ indica quali siano le ragioni della decisività degli errori motivazionali; vai a dire la loro rilevanza ai fini della decisione.
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese.
Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012.
 
PQM
 
La Corte rigetta il ricorso Compensa le spese.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
[ domenica 20 dicembre 2015 ]

Roma Capitale condannata a € 8.000 ex art. 96 III co. c.p.c., per mancata partecipazione alla mediazione ordinata dal giudice

Trib. di: Roma - Sentenza del: 17-12-2015 - Giudice: Massimo Moriconi
In breve: Insidia stradale, responsabilità dell’ente territoriale, compatibilità con concorso di colpa del danneggiato – proposta del giudice ex art. 185 bis cpc ed a seguire invio in mediazione demandata ex art. 5 co.II° decr.lgl.28/2010 – mancata adesione dell’ente territoriale – giustificazioni addotte per la mancata partecipazione alla mediazione disposta dal giudice consistenti nella ritenuta infondatezza della domanda ex adverso e nel non gradimento delle spese di mediazione – inconsistenza delle giustificazioni – le conseguenze per la ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione di cui all’art.8 del decr.lgsl 28/2010 – gli argomenti di prova ex art. 116 cpc ed il pagamento del contributo unificato, a carico dell’ente territoriale – l’art.8 del decr.lgsl 28/2010 non esaurisce le conseguenze per la ingiustificata partecipazione alla mediazione – art. 96 co. III° cpc, requisiti generali di applicabilità – art.96 co III° cpc e ingiustificata partecipazione alla mediazione demandata dal giudice – applicabilità – pertinenza della condotta renitente dell’ente territoriale all’area dell’art. 96 III° cpc – art. 5 e 8 decr.lgsl. 28/10, art. 3 Cost., art. 96 co. III° cpc in funzione di riequilibrio delle sanzioni a carico del chiamante e del chiamato inottemperanti all’ordine di mediazione demandata dal giudice – necessità del dolo o colpa grave – sussistenza nel caso di rifiuto ingiustificato di adempiere all’ordine del giudice – quantificazione della somma di cui all’art.96 co. III° cpc, criterio equitativo – danno erariale – sicura sussistenza con riferimento alla condanna ex art. 96 co. III° cpc – trasmissione della sentenza alla Procura Generale della Corte dei Conti.
Materia: Risarcimento danni, Risarcimento danni sinistro stradale - Argomento: Condanna al contributo unificato, Condanna alle spese di causa, Mancata partecipazione, Mediazione delegata, Sanzione ex art. 96 cpc


In NOME del POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di ROMA SEZIONE  Sez.XIII°

  1. RG.59487-11

n.25218/15 del 17.12.2015

REPUBBLICA ITALIANA

Il   Giudice   dott. cons. Massimo Moriconi

 nella   causa tra

 R. C. (avv.to A. G.)

attore

           E

Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore

convenuta (avv.S. A.)

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del

17.12.2015  dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

ABSTRACT:

  1. I fatti rilevanti  
  2. L’ordinanza del 15.12.2014 e l’invio in mediazione demandata  
  3. La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione, da parte dell’ente convenuto
  4. Le conseguenze previste dall’art.8 del decr.lgsl.28/10 per la mancata partecipazione dell’ente ritualmente convocato al procedimento di mediazione attivato dall’attore su disposizione del giudice ex art.5 co.II° comma
  5. Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata comparizione del Comune di Roma , senza giustificato motivo, l’art.116 cpc
  6. Le risultanze probatorie ed il risarcimento dei danni
  7. Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione previste dal decr.lgsl.28/2010 – La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato.
  8. Le conseguenze ulteriori per la inottemperanza alla disposizione del giudice ex art.5 co.II° – La responsabilità aggravata di cui all’art.96 III° comma cpc Presupposti e ragioni della sua applicabilità alla mediazione – A) L’art.8 comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 non esaurisce gli strumenti sanzionatori posti a presidio dell’effettivo svolgimento della mediazione – B) Le condotte dei soggetti coinvolti nel procedimento di mediazione sono sussumibili nell’area di interesse dell’art.96 cpc – C) L’art.96 cpc in combinato disposto con l’art. 3 Cost. in funzione riequilibratrice del sistema sanzionatorio apprestato per l’effettivo svolgimento della mediazione

  8 bis. Il contenuto dell’art. 96 III°  – Il dolo o la colpa grave – L‘inottemperanza, ingiustificata, delle parti all’ordine del giudice ex art. 5 comma II° decr.lgsl.28/10, di attivare e di partecipare alla mediazione, costituisce grave inadempienza, dalla quale può discendere  l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc.

  1. La quantificazione della somma al cui pagamento la convenuta va condannata ai sensi dell’art.96 co.III° cpc
  2. Il danno erariale – Trasmissione degli atti alla Procura Generale della Corte dei Conti
  3. Le spese processuali.

letti gli atti e le istanze delle parti,

osserva:

-1- I fatti rilevanti

L’incidente è accaduto in data 3.7.2010

Secondo quanto riferito dall’attore, R. C. a causa delle buche presenti sul manto stradale, quel giorno alle ore 23 circa, in Piazza Augusto Righi di Roma, mentre si trovava alla guida del motociclo di sua proprietà  Honda 600 tg.BD64945, all’altezza del distributore di benzina Agip, e del rivenditore di auto Ford, perdeva il controllo della moto e cadeva a terra riportando lesione alla persona e danni alla moto

Interveniva in un secondo tempo la Polizia Municipale che redigeva rapporto ed effettuava un sopralluogo in data 13.7.2010 riscontrando in loco n.5 buche di varie dimensioni che, su sollecitazione della stessa PM, venivano riempite, dalla ditta preposta, con l’applicazione di asfalto a freddo.

L’attrice produceva fatture di ogni spesa medica sostenuta per la cura delle lesioni.

Chiedeva la somma di €.25.290 a titolo di risarcimento dei danni alla persona e di €.700 per quelli alla moto.

Il Comune di Roma si costituiva e contestava sia nell’an che nel quantum le domande avverse, rilevando in particolare che la P.M. non era intervenuta nell’immediato, che le buche era molte e di vaste dimensioni e quindi visibili e che la zona era illuminata.

Veniva sentito un testimone (un conoscente con il quale l’attore aveva appuntamento in loco, per andare insieme ad una festa, e che ivi lo attendeva) che confermava le prospettazioni dell’attore. In particolare ricordando l’assenza di illuminazione pubblica e precisando che la strada era costellata di buche.

In sede di interrogatorio formale l’attore precisava che i lampioni erano spenti essendovi solo le luci del benzinaio e del concessionario, che le buche erano numerose e grandi e che non conosceva quella strada essendo la prima volta che la percorreva.

Il giudice disponeva la mediazione demandata, per il caso che sulla proposta, che contestualmente formulava ex art.185 bis, le parti non fossero in grado, da sole, di raggiungere un accordo.

-2- L’ordinanza del 15.12.2014  e l’invio in mediazione demandata

 Con l’ordinanza del 15.12.2014 il giudice proponeva:

 il pagamento a favore di R. C. della complessiva somma di €.6.000,00 a carico di Roma Capitale. Oltre al pagamento, a carico della stessa parte, di un contributo alle spese di causa a favore dell’attore per l’importo di €.1.300,00 oltre IVA CAP e spese generali; nonché spese di consulenza tecnica di ufficio

In particolare, e fra l’altro, l’ordinanza così motivava sulla proposta:

..in definitiva l’alternativa all’accordo è che l’esito del giudizio possa, per ciascuna delle parti, essere diverso e peggiore di quello ambìto (e per quanto si dirà anche della proposta che segue), circostanza questa niente affatto anomala ma insita nella natura stessa della giurisdizione.

Al contrario, allo stato odierno degli atti,  con la proposta del giudice, le parti possono predeterminare i risultati del percorso, valutarne da subito la convenienza e beneficiarne degli effetti.

Nell’ipotesi che taluna delle parti non sia disponibile ad aderire all’accordo, ne dovrà essere esposto a verbale il motivo in modo specifico, in modo da consentire al giudice di regolare, con la sentenza, le posizioni delle parti secondo giustizia (che in questo caso potrebbe equivalere a sanzionare la irragionevolezza del rifiuto ed il pregiudizievole disinteresse alla trattativa traendone le debite conclusioni a mente dell’art.91 e co.III° dell’art.96 cpc e nonché delle altre norme in materia di A.D.R. così come previste dalla legge e sviluppate dalla giurisprudenza, massime di questo giudice).

Con la stessa ordinanza il giudice disponeva un percorso di mediazione demandata ai sensi del comma secondo dell’art.5 decr.lgs.28/2010 come modificato dal d.l.69/2013, che veniva regolarmente avviato dall’attore.

Nella suddetta ordinanza, il giudice aveva inoltre così motivato:

Vanno, ancora, avvertite le parti che:

a)        trattandosi di soggetto pubblico (ente locale territoriale), si ricorda che, laddove ciò dovesse essere utile per pervenire               ad un accordo conciliativo, non vi sono ostacoli a che il funzionario delegato possa gestire la procedura e, nell’ambito               dei poteri attribuitigli, concludere un accordo. Ricorrendone i presupposti, anche osservando le indicazioni contenute               nelle linee guida in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali per l’attuazione dei procedimenti di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante “Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno  2009, n.69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” circolare DFP 33633 10/08/2012 9/2012 per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Vale altresì sottolineare che l’eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e  deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica (massime non presentandosi in mediazione senza ragione alcuna) potrebbe esporla a responsabilità per danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo su una  proposta del giudice o mediatoria comparativamente valutata rispetto al contenuto della sentenza. Conseguenze che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe doveroso segnalare agli organi competenti;

b)       la proposta del giudice che segue è permeata da un contenuto di equità e che oltre a ciò l’esito dell’ulteriore corso della causa, laddove mancasse l’accordo, non consente a ciascuna delle parti di considerare definitivamente stabilizzati, nel  bene e nel male, i suoi contenuti;

c)        ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta alle parti l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata e che la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo taluna interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.

Nessun soggetto si è presentato per il Comune di Roma, benché ritualmente convocato dall’attore, nel procedimento di mediazione, che si è per tale ragione concluso, con la sola presenza dell’attore, come attesta il relativo verbale del 8.7.2015, senza potersi entrare nel merito delle diverse posizioni delle parti.

-3- La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione da parte dell’ente convenuto.

Con mail del 8.7.2015 il difensore di Roma Capitale inviava all’organismo di mediazione il seguente messaggio:

..invio la presente in nome e per conto di Roma Capitale per comunicare il diniego da parte della mia assistita ad aderire alla procedura di mediazione.

Quanto sopra al fine di evitare ulteriori spese a carico dell’Amministrazione anzidetta e comunque tenuto conto delle risultanze istruttorie che certamente evidenziano la assoluta assenza di responsabilità in capo a Roma Capitale

Devesi affermare l’assoluta insussistenza di un giustificato motivo per la non partecipazione al procedimento di mediazione, e la inconsistenza delle suddette giustificazioni,  per le seguenti ragioni:

  I° In una realtà amministrativa e burocratica di grandi dimensioni qual’ è il Comune di Roma il riferimento a: ..in nome e per conto di Roma Capitale” che si legge nella missiva testimonia che non è stata data alcuna importanza all’invio in mediazione. E che per contro è stata platealmente violata l’avvertimento del giudice di cui alla lettera a) che precede. Ed infatti poiché la procura è stata rilasciata direttamente dal Sindaco pro tempore e non da un responsabile del procedimento o procuratore speciale, è sommamente inverosimile che il Sindaco di Roma, o chiunque altro per esso,  sia stato mai e realmente investito della conoscenza dell’ordinanza e dell’invio in mediazione impartito dal giudice ed abbia assunto una qualsiasi determinazione consapevole al riguardo. La risposta quindi, pur riconducibile formalmente al soggetto convenuto, è meramente stereotipa e di stile, sintomo della trattazione dell’ordine giudiziale, da parte dell’ente territoriale, come mera questione processuale di cui si deve occupare l’avvocato al quale è stato rilasciato il mandato alla lite.

  II° E’ viziato da manifesta miopia logico-giuridica il tentativo di  giustificare il rifiuto alla partecipazione alla mediazione, affermando e ribadendo, come fa l’ente territoriale, la propria ragione e l’altrui torto, e ciò in quanto che

a) addurre la pretesa ragione contro l’altrui torto per non aderire alla mediazione è una vera e propria aporia: se questa fosse infatti una valida ragione per non partecipare al procedimento di mediazione, la mediazione non potrebbe esistere tout court, posto che alla base della sua ragione d’essere vi è, immancabilmente, una divergenza di vedute fra le parti in conflitto, e precisamente su dove sia allogata la ragione e dove il torto;

b) il nuovo testo dell’art.8 del decr.lgsl.28/10 prevede che al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. La norma è stata, condivisibilmente, interpretata dalla giurisprudenza nel senso che solo in presenza di ragioni formali dirimenti (più precisamente di questioni pregiudiziali che ne impediscano la procedibilità) sia ammissibile fermarsi alla fase introduttiva del primo incontro senza procedere oltre. In questo contesto, è ben arduo ravvisare un caso in cui possa sussistere un giustificato motivo che autorizzi l’assenza tout court davanti al mediatore della parte convocata;

c) le modestissime spese che la mediazione implica, sono ben ripagate dai numerosi vantaggi di un possibile accordo (cfr.anche gli artt.17 e 20 decr.lgsl.28/10 sui benefici tributari e fiscali);

d) secondo le più recenti statistiche rese note dal Ministero della Giustizia afferenti al periodo 1° gennaio – 30 giugno 2015, il 47,0% dei procedimenti di mediazione si è concluso con un accordo quando l’aderente è comparso e ha proseguito oltre il 1° incontro.

  III° Non può essere obliterato che a monte del provvedimento vi è la valutazione del giudice che ha esaminato gli atti, studiato le posizioni delle parti, ed infine adottato un provvedimento che, in relazione alle circostanze tutte indicate dal secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/2010, testimonia il maturato convincimento del magistrato circa l’utilità di un percorso di mediazione nell’ambito del quale le parti avrebbero potuto approfondire e discutere liberamente le rispettive posizioni fino al raggiungimento di un accordo per entrambe vantaggioso.

In particolare in questa causa il giudice aveva offerto al Comune di Roma un formidabile asset per il raggiungimento di un buon accordo (cfr. punto 6 che segue)

Risulta pertanto  comprovato che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione del Comune nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico e contrario allo spirito ed alla lettera della legge.

-4- Le conseguenze previste dall’art.8 del decr.lgsl.28/10 per la mancata partecipazione del soggetto ritualmente convocato al procedimento di mediazione attivato dall’attore su disposizione del giudice ex art.5 co.II° comma        

L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

La norma si applica a differenza della seconda parte dell’art. 8 co.IV° (relativa al contributo unificato) che riguarda solo le parti costituite, a tutte le parti.

-5-  Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata comparizione del Comune di Roma , senza giustificato motivo, l’art.116

La mancata partecipazione, senza una valida giustificazione, al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), costituisce condotta di per sé grave perché idonea a determinare la introduzione ovvero, se già pendente, l’incrostazione ed il prolungamento di una controversia in un contesto giudiziario, quello italiano, già ampiamente saturo nei numeri e troppo dilatato nella durata.

Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte, la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata, si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.

Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.

Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.

È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).

La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.

La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti.

Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano sempre più alte percentuali di accordi in presenza della comparizione della parte convocata.

Ne consegue, tali essendo le finalità del richiamo dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, che equivarrebbe a tradire la ratio della norma, svalutarne la portata, considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori previsti dall’ ordinamento giuridico.

Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una endemica lunghezza nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata principalmente dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi e negative conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale del Paese, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare quanto  previsto dall’art.116 cpc

È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.

Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.

A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.

Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delleprove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.

L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.

Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.

E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.

Va ricordata quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova(Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.-  in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).

Tuttavia il giudice opina che almeno di regola e secondo le circostanze sia preferibile ritenere che gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla ingiustificata mancata comparizione della parte chiamata in mediazione abbiano lo scopo e l’utilità di integrare gli elementi di giudizio già presenti.

Alla luce di quanto precede, si ritiene che la evidente assenza di  giustificati motivi per la mancata partecipazione dell’ente convenuto alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010  e art. 116 c.p.c., concorra alla valutazione del materiale probatorio già acquisito, nel senso di ritenere raggiunta la prova – per quanto e nei limitiinfra illustrati – della fondatezza degli argomenti dell’attore.

-6- Le risultanze probatorie ed il risarcimento dei danni

Già nell’ordinanza del 15.12.2014 il giudice aveva puntualizzato alcune fondamentali circostanze e valutazioni:

considerato che è stata espletata specifica istruttoria, ma al di là della prova orale non è intervenuta nessuna autorità pubblica, e le fotografie rammostrano un manto stradale ampiamente destrutturato con sfaldamenti di grandi dimensioni ed una situazione ben diversa da quella di una singola buca poco o per nulla visibile;

ritenuto altresì che la velocità urbana deve essere particolarmente moderata da parte dei conducenti di ciclomotori e motocicli in una città come quella di Roma notoriamente affetta da un endemico problema di dissesto del manto viario, e che il mantenimento di un condotta di guida prudente accorta e consapevole può ridurre o eliminare del tutto il pericolo di cadute ed incidenti causati da tale problema;

considerato che la diffusa e notoria presenza di buche e simili non dispensa né esonera da responsabilità l’ente proprietario;

considerato che la giurisprudenza della S.C. non esclude, condivisibilmente, la possibilità di concorso di colpa anche per quanto riguarda i danni derivanti da “insidia” stradale;

preso atto che la domanda è stata formulata solo sotto il profilo dell’art.2043 cc;

viste le tabelle per il risarcimento del danno biologico in uso presso il tribunale di Roma.

Lo stato della strada dove l’attore con la sua moto è caduto vittima delle buche, era, come ammette lo stesso ente territoriale (che ne deduce però e quanto meno, la visibilità) in uno stato pietoso (come attesta icasticamente la sottostante fotografia, che rammostra la superficie, post sinistro, a seguito della manutenzione con l’asfalto a freddo), una specie di barriera orizzontale che percorre ed attraversa tutta la strada, rendendo di fatto assai difficoltoso se non impossibile, per un normale utente motorizzato, evitare l’ostacolo in tempo utile (non si tratta qui di un pedone che cammina).

strada buca

Va ricordato che per la sussistenza  della situazione definita tradizionalmente “insidia” fonte di danno si richiede  la non riconoscibilità e la non prevedibilità della situazione pericolosa, quale fonte  di danno, da parte di una persona di ordinaria diligenza; oltre ovviamente la non conoscenza in concreto.

Occorre poi applicare tale concetto adeguandolo alla situazione specifica dei luoghi, nonché soggettiva della persona che assume di aver subito un danno dall’insidia.

In questo caso non vi è dubbio sulla sussistenza di un pericolo non facilmente evitabile, se non altro per la presenza pressoché totale sul manto stradale delle sconnessioni e per la conseguente difficoltà, di notte, di arrestare (o diminuire) la marcia in tempo utile.

Credibilmente, il testimone Amoroso, sentito dal giudice, ha confermato che l’area era buia e non illuminata e che era presente e aveva visto l’attore cadere, a causa delle buche presenti.

Si ritiene tuttavia di attribuire un concorso di colpa del 30% al motociclista per la ragione che nell’area urbana di Roma, proprio per le notorie ubique sconnessioni stradali, è necessaria, massimamente per le moto, una andatura  molto moderata ed accorta.

La compatibilità del concorso di colpa del danneggiato con la negligente manutenzione della strada da parte del Comune è in questo caso ammissibile perché  si ritiene che la condotta concreta di R. C. non sia stata fattore elidente il nesso causale esistente fra la condotta censurabile dell’Ente e l’evento dannoso, quanto piuttosto fattore incidente sul grado di colpa dell’ente territoriale, che ne risulta attenuato.

L’evento dannoso è accaduto in data 3.7.2010  quando l’attore aveva  26 anni.

E’ importante indicare la data del fatto in quanto  dal marzo 2001 (l.5.3.2001 n.57)  è in vigore il sistema del punto legale al quale il Giudice in virtù della legge 12.12.2002 n.273 e successive  puo’ derogare in aumento, per le micropermanenti, solo nella misura di un terzo.

Più specificamente la legge (oggi decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209  Codice delle assicurazioni private, art.139) prevede che il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto; a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.

Come detto, la legge prevede che l’ammontare del danno biologico (temporaneo e permanente) liquidato ai fini può essere aumentato dal Giudice in misura non superiore ad un terzo, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

Ne consegue che per quanto riguarda il danno biologico permanente da 1 a 9 punti ed il danno biologico temporaneo vanno applicate le norme suindicate e le relative tabelle applicative (derivanti dai decreti ministeriali di periodico aggiornamento).

Per quanto invece concerne:

  1. il danno biologico (temporaneo e permanente) relativo ad aree diverse da quella dei danni derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti (precisamente come in questo caso) ed
  2. il danno biologico permanente derivante da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti per il quale i postumi delle lesioni sono superiori al nove per cento,                                                                                                             il sistema seguito per la valutazione del danno biologicomuove dal valore di punto che rappresenta il criterio più ampiamente diffuso nell’ambito del Tribunale di Roma.

    Invero l’applicazione delle tabelle di punto ha il vantaggio di attenuare la possibilità di trattamenti diversi per situazioni analoghe (come pure quello di consentire alle parti di addivenire più agevolmente a soluzioni transattive extragiudiziali).

    Senza che ciò escluda la doverosità da parte del giudice (correlativa alla legittima aspettativa  della parte) di personalizzare, ove necessario, l’ammontare degli importi riconosciuti al fine di rendere effettivo e completo il ristoro.

    Nelle esplicative delle tabelle romane è condivisibilmente previsto fra l’altro….Per la valutazione equitativa nel caso di effettiva prova (ivi compresa la presunzione nell’ambito del diritto civile) del danno secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26792/2008 (il ristoro di tale danno, infatti, compete a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato potendo in questo caso essere oggetto di risarcimento qualsiasi danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale; b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno limitatamente si soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto; c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n. 20684), si ritiene necessario prendere in considerazione, per il concreto esercizio del relativo potere, un criterio che utilizzi, al fine di individuazione della somma adeguata a quanto provato, un importo percentuale di quanto liquidato a titolo di danno biologico in misura ordinariamente non eccedente il 60%, tenuto conto che nelle tabelle del danno biologico elaborate dal Tribunale non era compresa alcuna quota relativa al cd danno non patrimoniale soggettivo.

    Premesso che il fatto in sé costituisce reato di lesioni colpose, non v’ha dubbio che debba essere riconosciuto all’attore  (a prescindere dall’esistenza o meno di querela) la voce di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza ed al patimento che ne sono derivati (descrittivamente danno morale) con applicazione, per la quantificazione, dei criteri, scaglioni e range elaborati a tale proposito dal tribunale capitolino.

    Esaminata e condivisa la relazione peritale d’ufficio, ben motivata ed immune da errori o vizi logico-tecnico-giuridici, ed in assenza di specifiche e valide contestazioni, va evidenziato che l’attore ha subito a seguito dell’evento  i seguenti danni:

    1. invalidità permanente 4 %
    2. invalidità temporanea 100% di gg.30
    3. invalidità temporanea   50% di gg.20
    4. spese medico-sanitarie per la persona e danni alla moto

    L’ammontare del risarcimento viene pertanto così determinata (comprensivo danno morale):

    • invalidità permanente: €. 6.000
    • invalidità temporanea: €. 500
    • spese medico-sanitarie documentate e riconosciute: €. 2.600
    • danni moto, valutati equitativamente: €.300

    Le somme riconosciute sono la risultanza della rivalutazione alla data della decisione (secondo le tabelle aggiornate): ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere ricostituito per intero (quanto meno per equivalente); essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio nominalistico, altro è un determinato importo di denaro disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile in un tempo  passato).

    Comprendono altresì il danno consistente nel mancato godimento da parte del danneggiato dell’equivalente monetario del bene perduto per tutto il tempo decorrente fra il fatto e la sua liquidazione. Ed invero devesi a tale fine fare applicazione delle presunzioni semplici in virtù delle quali non si può obliterare che ove il danneggiato fosse stato in possesso delle somme predette le avrebbe verosimilmente impiegate secondo i modi e le forme tipiche del piccolo risparmiatore in parte investendole nelle forme d’uso di tale categoria economica (ad esempio in azioni ed obbligazioni, in fondi, in titoli di Stato o di altro genere) ricavandone i relativi guadagni. Con tali comportamenti  oltre a porre il denaro al riparo dalla svalutazione vi sarebbe stato un guadagno (che è invece mancato) che pertanto è giusto e doveroso risarcire, in via equitativa, con la attribuzione degli interessi legali.

    Il calcolo di tali interessi viene effettuato  in virtù della sentenza del 17.2.1995 n.1712 della Suprema Corte procedendo prima alla devalutazione alla data del fatto dannoso degli importi che erano stati rivalutati alla data della sentenza; e successivamente calcolando sugli importi rivalutati anno per anno i relativi interessi legali ai tassi stabiliti per legge anno per anno, senza alcuna capitalizzazione.

    In definitiva all’attore spetta complessivamente la somma  di €.13.000,00 che si riduce a €.9.100 per il concorso di colpa, oltre interessi legali fino al saldo.

    -7- Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione previste dal decr.lgsl.28/2010 –  La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato.

    Non avendo partecipato, ingiustificatamente, Roma Capitale al procedimento di mediazione al quale era stata convocata la stessa va condannata al versamento all’Erario di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

    La cancelleria provvederà alla riscossione.

    -8- Le conseguenze ulteriori per la inottemperanza alla disposizione del giudice ex art.5 co.II° – La responsabilità aggravata di cui all’art.96 III° comma cpc Presupposti e ragioni della sua applicabilità alla mediazione – A) L’art.8 comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 non esaurisce gli strumenti sanzionatori posti a presidio dell’effettivo svolgimento della mediazione  – B) Le condotte dei soggetti coinvolti nel procedimento di mediazione sono sussumibili nell’area di interesse dell’art.96 cpc – C) L’art.96 cpc in combinato disposto con l’art. 3 Cost. in funzione riequilibratrice del sistema sanzionatorio apprestato per l’effettivo svolgimento della mediazione

      Occorre rispondere ad alcuni interrogativi attinenti

    1. al dubbio che l’art.8 comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 possa esaurire, delimitandoli in modo non estensibile, gli strumenti legali latu sensu sanzionatori posti a presidio dell’effettivo svolgimento della mediazione;
    2. alla pertinenza o meno delle condotte dei soggetti coinvolti nel procedimento di mediazione a quelle sussumibili nell’area di interesse dell’art.96 cpc
    3. alla sussistenza della colpa grave

    Ed ancora, chiedersi se il sistema latu sensu sanzionatorio apprestato dalla legge a presidio dell’effettivo svolgimento della mediazione sia conforme all’art.3 della Costituzione.

    1. Quanto al primo interrogativo va osservato:

    contro il rischio della mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione l’art.8 comma quarto bis del decr.lgsl.28/10 predispone  specifici deterrenti e precisamente la possibilità dell’utilizzo dell’art.116 cpc da parte del giudice e la condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

    Alla domanda se possa essere applicata anche la sanzione di cui all’art.96 cpc non espressamente menzionata dall’art.8 decr.lgsl.cit, si deve dare risposta univocamente affermativa.

    Che si impone, non potendo valere a pena di grave vulnus al sistema processuale, il brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit

    Invero, l’art. 96 cpc è norma aperta, cioé di generale applicazione e non può neppure concettuamente essere ipotizzata, pena una grave aporia, un’interpretazione che condizioni il suo perimetro applicativo all’esistenza di una espressa previsione per singoli casi.

    Ciò trova conferma nello stesso decr.lgsl.28/10 che all’art.13, all’atto di prevedere una specifica disciplina delle spese di causa in materia di proposta del mediatore irragionevolmente non accettata, fa comunque salva l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile

    Piuttosto quindi, è giocoforza affermare che sono gli strumenti previsti dall’art.8 del decr.lgsl.28/10 ad  aggiungersi, in virtù di una specifica previsione di legge, alle norme di generale applicazione (qual’è l’art.96 cpc) per le quali non è necessario uno specifico richiamo.

    1. Quanto al secondo interrogativo va osservato:La possibilità di applicare l’art.96 cpc, nel caso di ingiustificata partecipazione della parte convocata al procedimento di mediazione deriva dai seguenti e convergenti parametri logico-sistematici:
      1. nel caso dell’art.5 II° decr.lgsl.28/2010 (diversamente dalla mediazione obbligatoria) il giudice ha effettuato una valutazione di mediabilità concreta e specifica (relativa all’an, al momento in cui disporla, ed alle circostanze oggettive e soggettive che hanno evidenziato l’utilità del tentativo di conciliazione): il disvalore del rifiuto di partecipare all’incontro è quindi, all’evidenza, ben più elevato rispetto al caso della mediazione obbligatoria;
      2. l’applicazione della misura sanzionatoria (dell’art.96 III°) non è una conseguenza automatica della mancata partecipazione, ma di una valutazione specifica e complessiva della condotta del soggetto renitente con riferimento, fra l’altro ma non solo, all’assenza di giustificati motivi per non partecipare ed al grado di probabilità del raggiungimento di un accordo in caso di partecipazione (fattore quest’ultimo che, in questo caso il giudice aveva ben evidenziato nell’ordinanza di invio); cosicché tanto più alte ed evidenti si appalesano tali possibilità tanto più grave e meritevole di sanzione (art.96 cpc) si connota l’ingiustificato rifiuto;
      3. il collegamento, già insito nell’essere la mediazione condizione di procedibilità, fra procedimento giudiziario (causa) e procedimento esterno (mediazione) è strettissimo e sincronico nella mediazione demandata. Nella quale si radicano più che altrove, molteplici punti di contatto e di interferenza con la causa (le indicazioni offerte alle parti ed al mediatore da parte del giudice nell’ordinanza di invio in mediazione demandata; la proposta del mediatore – che il giudice può propiziare nell’ordinanza- con i suoi possibili riflessi nella causa in caso di mancato accordo; la consulenza in mediazione con gli effetti della producibilità ed utilizzabilità nella causa in caso di mancato accordo, alla stregua dei requisiti, con i limiti e per gli effetti indicati dalla giurisprudenza  );
      4. la doverosità della partecipazione delle parti al procedimento di mediazione, se è predicata in mododiretto dalla legge per quanto riguarda la parte onerata dalla condizione di procedibilità, e soloindiretto, come si argomenta dal contenuto dell’art. 8 co.4 bis decr.lgsl.28/10, per quanto riguarda il convenuto, acquista ben più pregnante spessore e cogenza, quanto a quest’ultimo, a seguito della mediazione demandata riformata, nella quale l’ordine (e non come nel testo previgente un mero invito), del giudice si rivolge direttamente a tutte le parti, nessuna esclusa, rendendo manifesta ed esplicita la doverosità della partecipazione al procedimento di mediazione. In entrambi i casi la circostanza che siano state previste delle sanzioni per la mancata partecipazione attesta formalmente ciò che è ovvio sostanzialmente, vale a dire che l’attivazione della procedura di mediazione non  afferisce solo ad un onere, in quanto a seguito dell’istanza nascono obblighi – sanzionati- di partecipazione a carico di tutte le parti in conflitto (istante e chiamato)

      Emerge con evidenza da quanto precede che con l’applicazione dell’art.96 co. III° viene sanzionata la condotta del soggetto renitente prima di tutto processuale, cioé interna ed appartenente alla causa, dove tale espressione afferisce alla scelta del soggetto di non tenere nella giusta considerazione l’ordine impartitogli dal giudice, opponendogli un ingiustificato rifiuto.

      Ne consegue che l’applicazione dell’art.96 co.III° cpc alla fattispecie della mancata partecipazione al procedimento di mediazione demandata non è solo questione ed interesse dell’istituto della mediazione, al cui presidio soccorrono (anche) norme interne alla legge che la disciplina (art. 8 decr.lgsl.28/2010), ma ben di più e prima, di disciplina del processo e di condotta processuale, che si qualifica scorretta e sanzionabile proprio nella misura in cui senza valida ragione viene disatteso un ordine legalmente dato dal giudice.

      Art. 96 cpc, mediazione ed art. 3 della Costituzione

      L’applicazione dell’art. 96 III° può avere inoltre, nel contesto di cui si discute, la funzione di un salutare e necessario riequilibrio del sistema sanzionatorio della mediazione, altrimenti palesemente sbilenco. E, in definitiva, consentire una interpretazione costituzionalmente orientata (dall’art.3 Cost), delle norme che la disciplinano.

      Come è noto, l’attivazione del procedimento di mediazione è stata dal legislatore prevista quale condizione di procedibilità (art.5 decr.lgsl.28/2010) delle domande giudiziali nelle materie di cui all’art.1 bis  decr.lgsl. cit. (mediazione obbligatoria), come pure, dal 2013 ed a prescindere dalla materia, nel caso di mediazione demandata dal giudice.

      Qual’è la ragione d’essere di tale condizione di procedibilità e quale l’obiettivo del legislatore ?

      La risposta al primo interrogativo è molto agevole.

      Una riforma epocale destinata ad incidere profondamente ed in modo definitivo su una antica cultura giuridica formata ed avvezza pressoché esclusivamente all’aspra gestione della contesa giudiziale, con l’innesto di una massiccia dose di cultura conciliativa, non può produrre i suoi effetti, da un giorno all’altro, solo con un invito del legislatore.

      Occorrono forti incentivi e deterrenti per le prevedibili naturali resistenze al Nuovo, anche quando sicuramente, come in questo caso, un Nuovo molto positivo, perché diretto a rivitalizzare la giurisdizione, riperimentrandola in ambiti dove è davvero necessaria. Senza la pretesa, che sarebbe errata e velleitaria, di sostituirla tout court, ma affiancandole un valore aggiunto che consiste nella possibilità per le parti, in moltissimi casi, nell’area dei diritti disponibili, di pervenire con l’aiuto di un mediatore professionale e imparziale, all’accordo. Prevenendo o ponendo fine ad una lite.

      Una cultura quindi della pacificazione sociale, piuttosto della esasperazione del conflitto giudiziario immanente ed ubiquo.

      Anche per l’individuazione dell’obiettivo, la risposta è agevole

      Si può ipotizzare che il legislatore si volesse accontentare del semplice dato formale dell’ avvenuta presentazione dell’istanza di mediazione da parte del soggetto onerato ?

      Si può ipotizzare che per il legislatore fosse del tutto indifferente che l’istante si presentasse effettivamente davanti al mediatore per esperire la mediazione ? E che  potesse essere sufficiente, per le esigenze perseguite con questa riforma, un ruolo del mediatore puramente notarile, di attestazione dell’avvenuta presentazione della domanda ?

      E’ del tutto evidente, al contrario, che il legislatore ha perseguito un obiettivo sostanziale, vale a dire che le parti in conflitto esperissero concretamente la mediazione, vale a dire si incontrassero personalmente e tentassero, discutendo  con la presenza attiva e fattiva del mediatore, di accordarsi.

      A questo serve la condizione di procedibilità. Per questo è stata prevista per la parte onerata una sanzione assai pesante, vale a dire l’improcedibilità della domanda con conseguente condanna alle spese, per il caso di non attivazione del procedimento di mediazione, obbligatoria e demandata.

      Se così stanno le cose e così precisamente stanno, non v’è chi non veda come il raggiungimento di tale obiettivo si scontra con la irragionevole sproporzione, al ribasso, della sanzione prevista a carico del soggetto convocato renitente.

      Quest’ultimo, per quanto ingiustificata sia la sua assenza, subisce l’applicazione (certa) di una sanzione pari al contributo unificato, all’evidenza di scarsa o nulla deterrenza (essendo una somma fissa, del tutto imbelle per soggetti possidenti, come enti, assicurazioni, banche e per stare al caso in esame ad un ente territoriale), e l’eventuale utilizzo da parte del giudice dell’art. 116 cpc  le cui limitate potenzialità sono state supra ampiamente descritte e che, peraltro, nel caso in cui la soccombenza sia stata per altro verso già attinta, è del tutto fuori luogo ed inutile.

      Quindi in moltissimi casi e nella sostanza, non vi è (nella legge 28) a carico del convocato che non voglia pregiudizialmente partecipare al procedimento di mediazione nessuna sanzione.

      Tale sbilanciamento non è poca cosa, per l’ovvia considerazione che l’accordo non si fa con una parte sola, sicché in definitiva a serve l’esistenza ( nella legge 28) di un forte spinta a mediare – la sanzione di improcedibilità della domanda – a carico di uno solo dei contendenti.

      Da quanto segue risulta chiaramente dimostrata la sostanziale equità costituzionale (ed invero non si vede per quale ragione logica, e con quale giustizia, l’importanza della partecipazione all’incontro di mediazione, predicata con limpida chiarezza dal legislatore, dovrebbe essere adeguatamente presidiata solo nei confronti di una sola delle parti in conflitto e non dell’altra) dell’utilizzo dell’art.96 III° cpc (anche) in funzione riequilibratrice delle posizioni delle parti rispetto ai mezzi legali applicabili per rendere effettiva la  loro partecipazione all’esperimento di mediazione.

      -8 bis- Il contenuto dell’art. 96 III°  Il dolo o la colpa grave – L‘inottemperanza, ingiustificata, della parte all’ordine del giudice ex art. 5 comma II° decr.lgsl.28/10, di partecipare alla mediazione, costituisce grave inadempienza, dalla quale può discendere  l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc.

      L’art. 96 dispone che:

      I° se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.

      II° Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

      E per quel che qui interessa:

      III° In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata

      La norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69 ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità:

      • in primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al pagamento di un somma di denaro ;
      • non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) e di una punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della giustizia, se si ha riguardo allo Stato), di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo;
      • l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per il che non si potrà che avere riguardo, da parte del giudice, a tutte le circostanze del caso per determinare in modo adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa;
      • a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma) il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di parte;
      • infine, la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma.

      Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole.

      Benché non sia richiesto espressamente dalla norma, si ritiene dalla giurisprudenza necessario anche il requisito della gravità della colpa.

      A ben vedere nel caso che ci occupa, non di colpa (sia pure grave) trattasi, ma di dolo, in quanto la parte convocata si è volontariamente e consapevolmente sottratta all’ obbligo, derivante dall’ordine impartito dal giudice, di presentarsi e partecipare alla mediazione, di cui era perfettamente a conoscenza (come dimostra la pur errata e fuorviante giustificazione riferita)

      La giurisprudenza richiede la sussistenza del dolo o della colpa grave poiché non è ragionevole che possa essere sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale, ed è necessario che esista qualcosa di più rispetto ad essa, tale che la condotta soggettiva risulti caratterizzata, come in questo caso, da noncuranza dell’ordine del giudice, da deresponsabilizzazione della P.A., da  pervicace volontà di protrarre la lite quale che ne siano le conseguenze.

      La sussistenza di tali  requisiti potrà essere riscontrata ricavandola da qualsiasi indicatore sintomatico.

      Nel caso in esame, in  presenza di chiare e comprovate circostanze (indicate dal giudice nell’ordinanza di invio in mediazione) che imponevano a tutta evidenza di dismettere una posizione processuale di ostinata pregiudiziale e pervicace resistenza, la condotta della P.A. convenuta integra certamente (laddove non si ritenesse -come si ritiene –  sussistere  il dolo) la colpa grave.

      Deve affermarsi che il volontario ed ingiustificato rifiuto di aderire ad un ordine del giudice civile, legittimamente  dato, va sempre considerato grave ed infatti l’ordinamento prevede rimedi, sanzioni e deterrenti di variegata natura e contenuto, a carico della parte (e talvolta anche del terzo) renitente.  

      Per il convergente e necessario fine che l’ordine non rimanga telum imbelle sine ictu e venga in tal modo, in maggiore o minore misura, intralciato e sabotato il buon governo della causa da parte del giudice.

      Ed infatti se gli ordini del giudice, quando previsti e impartiti, potessero essere impunemente rimanere vani e inascoltati, il sistema processuale verrebbe gravemente depotenziato con forti e irreparabili ricadute sulla sua efficienza  e, di conseguenza,  gli stessi fondamenti sociali della civile convivenza verrebbero messi a repentaglio.

      In realtà lo iussum del giudice  trova sempre un adeguato presidio nell’ordinamento.

      Di ciò può essere data ampia prova e di esempi  se ne possono fare in gran numero.

      Fermo restando che lo stesso sistema della esecuzione forzata non è altro che lo strumento per rendere coattivo e imperativo lo iussum esecutivo giudiziale, le sanzioni possono essere dirette e prevedere la condanna della parte (e talvolta anche di un terzo) al pagamento di somme di danaro così come previsto a carico di chi si sottrae volontariamente al provvedimento che dispone l’assunzione della testimonianza e di chi si rifiuta di adempiere all’obbligo di un fare (o non fare) infungibile (art.614  bis cpc)..

      Come pure consistere in  sanzioni penali come nel caso dell’art.388  del codice penale..

      Ovvero, possono essere indirette, nei casi in cui le conseguenze dell’inottemperanza vanno ad attingere, negativamente, il merito, come nel caso della mancata risposta all’interrogatorio formale,  dell’art.116 cpc,  dell’art. 118 cpc, etc.

      In altri casi ancora dall’inottemperanza possono scaturire misure coercitive (è il caso dell’ordine di esibizione ex art. 210 cpc al quale, ove inadempiuto, può seguire il sequestro di cui all’art. 670 cpc)

      Ciò per dire e concludere che l’inottemperanza, ingiustificata, delle parti (di regola quella convocata, posto che per l’istante sussiste adeguata sanzione ed infatti all’ordine della demandata segue nella quasi totalità dei casi l’introduzione del procedimento di mediazione), all’ordine del giudice ex art. 5 comma II° decr.lgsl.28/10, non solo di introdurre, ma di partecipare effettivamente alla mediazione, costituisce sempre grave inadempienza, dalla quale ben può discendere, secondo le circostanze del caso, l’applicazione della sanzione di cui al terzo comma dell’art.96 cpc.

      Nel caso in esame, infine, la circostanza del riconosciuto concorso di colpa non elide la gravità della colpa del Comune per la evidente ragione che nell’ordinanza del 15.12.2014 il giudice aveva già segnalato la possibilità che fosse ravvisato un certo grado di imprudenza del conducente, concorrente con la negligenza dell’ente territoriale per lo stato di totale abbandono in cui versava la superficie stradale in questione

      Di talché proprio da tale precisazione l’ente territoriale avrebbe potuto trarre vantaggio (e risparmio) dalla negoziazione, partecipando utilmente al procedimento di mediazione.

      9- La quantificazione della somma al cui pagamento la convenuta va condannata ai sensi dell’art.96 co.III° cpc           

      L’ammontare della somma deve essere rapportato :

      1. Allo stato soggettivo del responsabile, perché il dolo e la cosciente volontarietà della condotta censurabile ex art. 96 co.III° è più grave della colpa. In questo caso vi è stata una volontaria condotta deresponsabilizzata del Comune di Roma, che disattendendo il motivato e ragionevole invito del giudice a trovare un conveniente accordo tenendo conto di quanto argomentato nell’ordinanza, ha preferito portare la causa alle estreme conseguenze, aggravando inutilmente il lavoro del giudice, piuttosto che ragionare e discutere responsabilmente in sede conciliativa, con sicuro risparmio anche per le casse dell’ente territoriale.
      2. Alla qualifica ed alle caratteristiche del responsabile, persona fisica o giuridica che sia, ed alla sua maggiore o minore capacità anche in termini organizzativi, di preparazione professionale, culturale, tecnica, di assumere condotte consapevoli (si tratta di un parametro che riguarda la scusabilità, ove esistente, in misura maggiore o minore, della condotta censurata). In questo caso la condotta dell’Ente territoriale non è scusabile per le ragioni dette.
      3. Alla rilevanza delle conseguenze della condotta censurata. Ed a quanto ciò abbia inciso sulla parte vittoriosa sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo per lo stress aggiuntivo connesso all’incertezza dell’esito della lite ed al protrarsi dell’attesa del conseguimento del bene della vita atteso.Una conciliazione, facilmente conseguibile, visti i presupposti, avrebbe evitato tali ultime conseguenze che possono ritenersi verosimilmente verificate a carico dell’attore.
      4. Alla forza ed al potere economico del responsabile, che secondo le circostanze può risultare avere abusato con la sua azione o la sua resistenza, del giudizio, dei suoi tempi e del modo di gestirlo.All’evidenza per un ente di enorme dimensioni, con responsabilità individuali diffuse, qual’è Roma Capitale, la durata della causa e l’eventualità della condanna alle spese connessa ad una possibile soccombenza non costituisce una remora sufficiente ad evitare condotte processuali censurabili
      5. Alla perseveranza della condotta censura. Laddove il soccombente non abbia manifestato alcuna resipiscenza perseverando con argomenti manifestamente errati. E l’evidente caso che ci occupa dove la giustificazione addotta dall’ente territoriale per non partecipare alla mediazione è stata puramente di stile ed erronea, quando ancora all’udienza di verifica si sarebbe potuta fare emergere una qualche disponibilità alla conciliazione propiziata dal giudice.
      6. Alla necessità che in relazione alle caratteristiche del soggetto responsabile, ed in particolare alla sua capacità patrimoniale, la condanna ex art.96 co III° cpc costituisca un efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile. Nei confronti di un’amministrazione pubblica tale provvedimento acquista maggiore efficacia, tale da essere in grado di sensibilizzare direttamente il funzionario responsabile e quello titolare del rapporto organico, se accompagnato  dalla trasmissione degli atti all’Organo competente (Procura Generale della Corte dei Conti) per l’accertamento del danno erariale (in questo caso commisurabile quanto meno alla somma per la quale viene emessa condanna ex art. 96 co. III° cpc; ed al contributo unificato), incombente che, valutata ogni circostanza, devesi senz’altro adottare in questo caso.

      Per la concreta determinazione della somma si ritiene di adottare, quale valido ed obiettivo parametro di riferimento, una somma di ammontare pressoché pari a quella liquidata a titolo di sorte.

      Nel caso di specie, pertanto, si reputa giusto ed equo condannare l’ente convenuto al pagamento della somma di €.8.000,00=

      -10- Il danno erariale – Trasmissione degli atti alla Procura Generale della Corte dei Conti

       Come da ordinanza che segue.

      -11- Le spese processuali.

       Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate come in dispositivo in favore  dell’attore.

      La sentenza  è per legge esecutiva.

    P.Q.M.

    definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:

    • CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al risarcimento dei danni che determina in favore di R. C. nella complessiva somma di € 9.100.000 oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo;
    • CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al pagamento delle spese di causa che liquida in favore dell’attore in complessivi € 3.500,00 per compensi oltre IVA, CAP e spese generali;
    • CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al pagamento ai sensi dell’art.96 co.III°in favore di R. C. della somma di € 8.000,00 ;
    • CONDANNA Roma Capitale in persona del Sindaco pro tempore al pagamento in favore dell’Erario di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando alla cancelleria per la riscossione;
    • DISPONE con separata ordinanza, l’invio degli atti e della sentenza alla Procura Generale della Corte dei Conti per la valutazione dei danni erariali;
    • SENTENZA esecutiva

              Roma lì 17.12.2015                                                                                                                                              

  3.  Il Giudice

  4.  dott. cons.Massimo Moriconi

  1. n. 59487-11

TRIBUNALE di ROMA   SEZIONE XIII°

O R D I N A N Z A

Il Giudice,

dott. Massimo Moriconi,

letti gli atti e la sentenza emessa in data odierna,

preso atto della condotta volontariamente deresponsabilizzata dell’Ente territoriale nei confronti dell’ordine di cui all’ordinanza del 15.12.2014 del Giudice e della conseguente mancata ingiustificata partecipazione di Roma Capitale al procedimento di mediazione demandata con essa ordinanza disposto;

preso atto che in relazione alle circostanze esposte nella predetta ordinanza (ed in particolare all’essere stata ivi ventilata la esistenza di un concorso di colpa del danneggiato), vi erano elevate probabilità di un accordo che avrebbe comportato un minor esborso da parte dell’ente territoriale rispetto a quello che contiene la sentenza;

considerato che l’esistenza di ben chiare coordinate esposte dal giudice nella predetta ordinanza ponevano l’ente nella condizione di poter pervenire ad una conciliazione in totale sicurezza e senza il timore di addebiti per le scelte discrezionali ad essa afferenti;

ritenuta la possibile sussistenza di un danno erariale causato sia sotto il profilo del maggior esborso dovuto da Roma Capitale conseguente alla sentenza di condanna rispetto alla conciliazione; e sia in relazione alle somme da pagare in dipendenza della condanna ex art. 96 III° cpc ed al contributo unificato, direttamente ed esclusivamente dipendenti da tale censurata condotta deresponsabilizzata;

P.Q.M.

MANDA alla cancelleria di trasmettere copia della ordinanza del 15.12.2014 e della sentenza n.25218/15 del 17.12.2015 alla Procura Generale della Corte dei Conti in ordine alla possibile sussistenza di fattispecie di danno erariale.-

Roma lì 17.12.2015                                                  Il Giudice

                                                               dott.cons.Massimo Moriconi

[ mercoledì 16 dicembre 2015 ]

Il mediatore deve trascrivere nel verbale negativo ogni elemento fattuale utile al giudice per valutare la ritualità della partecipazione

Trib. di: Roma - Ordinanza del: 14-12-2015 - Giudice: Massimo Moriconi
Materia: Non specificata - Argomento: Effettivo svolgimento del primo incontro, Mancata comparizione personale senza giustificato motivo, Mediazione delegata, Partecipazione personale, Riservatezza in sede di mediazione


RG 4938-13

TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°
ORDINANZA

Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
-1-
Alla procedura di mediazione, disposta con ordinanza del 7.5.2015 del giudice, sempre presente l’attore di persona ed il suo difensore nei vari incontri tenutisi, non non hanno partecipato ritualmente

- l’Istituto N…. (convenuto) con il solo difensore;
–  l’A. (convenuto) con il solo difensore;
in assenza di valide e comprovate giustificazioni
– quanto alla Assicurazione…, terza chiamata in causa, presente il solo difensore, va disposta la produzione della procura speciale di cui era munito, come è stato riferito, il difensore, al fine di verificare se in essa era contenuto il potere di conciliare e transigere, ché in caso negativo si tratterebbe anche per tale soggetto di partecipazione irrituale.

Da quanto emerge dal preciso e puntuale resoconto effettuato dal difensore dell’attore a verbale di udienza delle presenze (e assenze) nel procedimento di mediazione, nonché da quanto dichiarato ivi dai difensori delle altre parti, sussistono concrete possibilità conciliative, che sono state frustrate nel procedimento di mediazione dalla irrituale partecipazione dei convenuti
Attese le conseguenze che possono derivare a carico delle parti dalla mancata o irrituale partecipazione alla mediazione, si concede alle stesse la possibilità di rinnovare la mediazione in modo rituale.
Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15, decorrente come in dispositivo per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente;
Il mediatore potrà se del caso, ed in conformità a quanto previsto dal Regolamento dell’Organismo, formulare una proposta ai sensi dell’art.11 decr.lgsl.28/10. e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
All’udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt.91 (1) e 96 III° cpc (2).

-2-
E’ stato contestato da una delle controparti dell’attore, la liceità della verbalizzazione effettuata dal difensore di M.F. (attore) all’udienza del 10.12.2015, degli accadimenti avvenuti in sede di mediazione da ritenersi riservati, con riserva di segnalazione all’organo di disciplina forense.
La lagnanza è infondata e priva di fondamento.
Va ricordato che il procedimento di mediazione è improntato alla riservatezza (3)
L’avvocato dell’attore non ha violato tale precetto (che ha, come testé chiarito, profonda e sostanziale ragion logica), limitandosi ad una didascalica (e utile per chi legge) trascrizione, a verbale di udienza, degli eventi storici che il giudice può anche altrimenti leggere (e che in effetti riscontra) consultando i verbali redatti dal mediatore nel corso degli incontri svoltisi; eventi che concernono la presenza o assenza delle parti. il che sta a significare che al fine di garantire la massima libertà delle parti di poter fra di loro dialogare, esporre i propri punti di vista, effettuare proposte, ammissioni, richieste, chiarimenti e quant’altro, non si devono verbalizzare da parte del mediatore né possono essere propalate da chiunque (compresi gli avvocati delle parti) tali dichiarazioni che men che meno possono essere oggetto di testimonianza et similia…
E’ ben vero però che in tale trascrizione si leggono anche fatti che possono essere considerati, strictu o latu sensu, dichiarazioni.
E così il difensore dell’attore trascriveva a verbale di udienza che l’avvocato del dott. A. riferiva l’assenza della parte per motivi di lavoro, che era presente l’avvocato dell’Istituto N…. che depositava un certificato medico del legale rappresentante e, in un successivo incontro, lo stesso difensore a mezzo Pec ha comunicato che la sua assistita non è favorevole ad avanzare una proposta conciliativa nei termini ipotizzati dall’istante.
Si tratta, tuttavia, di trascrizioni non solo lecite ma utili e necessarie.
Infatti i principi relativi alla riservatezza delle dichiarazioni delle parti devono essere riferiti al contenuto sostanziale dell’incontro di mediazione.
Ogni qualvolta invece, che tali dichiarazioni, che vengano trasposte all’esterno, anche in udienza, riguardino circostanze che attengono alla possibilità di valutazione della ritualità (o meno) della partecipazione (o della mancata partecipazione) delle parti al procedimento di mediazione, va predicata la perfetta liceità della comunicazione e dell’utilizzo.
Ed invero, vale, a consentirne la conoscenza da parte del giudice, la norma di cui all’art.8 co. 4 bis 4
la presenza o assenza delle parti del decr.lgsl.28/2010 nonché, in via generale, dell’art.96 III° cpc
Sarebbe infatti insolubile aporia ammettere da una parte che il giudice debba sanzionare la mancata o irrituale partecipazione delle parti al procedimento di mediazione e per contro impedirgli di conoscere gli elementi fattuali e storici che tale ritualità o meno concretizzino.
Conclusivamente, il mediatore deve e chiunque ne abbia interesse può, trascrivere ogni elemento fattuale utile a consentire al giudice di valutare la ritualità della partecipazione o la mancata partecipazione delle parti al procedimento di mediazione.
de hoc satis.

P.Q.M.

a scioglimento della riserva che precede,
• DISPONE che le parti rinnovino la mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma secondo del decr.lgsl.28/2010, della controversia; partecipando in modo rituale, come ut supra indicato, alla stessa;
• ESCLUSA la possibilità di procura speciale per le parti fisiche, dovrà essere prodotta, quanto ai soggetti diversi, la procura speciale attestante i poteri del rappresentante di transigere e di conciliare;
• INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° decr.lgsl. 28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona (5) assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione;
• INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; nonché la possibile applicazione dell’art.96 III° co cpc; ,
• FISSA il termine di gg.15, decorrente dal 10.2.2016, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
• RINVIA all’udienza del 20.6.2016 h.9,30 per quanto di ragione.

Roma lì 14.12.2015
Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

__________

(1) Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
(2) Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata
(3) Art.9 decr.lgsl.28/2010 Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti

(4) 4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.
(5) Per le persone giuridiche, pubbliche o private, “di persona” va riferito al soggetto – incaricato da chi è titolare del diritto oggetto della controversia – che ne abbia, ai fini che qui interessano, la rappresentanza, con la possibilità di disporre del diritto nell’ambito dei poteri conferitigli

[ giovedì 10 dicembre 2015 ]

Nella mediazione demandata, il mediatore può formulare una proposta anche in assenza del convenuto

Trib. di: Roma - Ordinanza del: 07-12-2015 - Giudice: Massimo Moriconi
Materia: Responsabilità professionale - Argomento: Mancata partecipazione del convenuto, Mediazione delegata, Proposta del mediatore


RG 50296 /2013

TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°
ORDINANZA

Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
Si ritiene che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti ed in particolare in base agli esiti dell’espletata consulenza tecnica di ufficio, si potrebbe pervenire ad un accordo conciliativo.
Con alcune premesse.
La condizione di contumace del convenuto dott. S.C. dottore commercialista, non è di ostacolo all’introduzione di un procedimento di mediazione demandata, specialmente una volta che a mezzo del deposito della relazione peritale siano stati apposti punti fermi alla controversia.
Ed infatti non si può escludere a priori che il convenuto, rimasto contumace nella causa, possa comparire e partecipare alla mediazione.
In caso contrario, non si tratterà comunque di attività e di oneri inutili e di tempo sprecato, posto che in luogo dell’attività istruttoria orale che l’attore ha richiesto di poter espletare (interrogatorio formale e testimonianze), il Giudice, secondo un modello ormai sperimentato, utilizzerà lo strumento di cui all’art.8 decr.lgsl.20/2010 (1)
Considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione conciliativa, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte le parti. Specialmente se l’organismo di mediazione ed il mediatore saranno scelti in base ai criteri della competenza e della professionalità, necessari anche per la valorizzazione degli spunti di riflessioni offerti dal presente provvedimento e precisamente l’art.116 cpc in via integrativa delle attuali risultanze probatorie escludendo qualsiasi ulteriore attività istruttoria.
All’attore si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg.15, decorrente dal 20.1.2016 per depositare presso un organismo di mediazione la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente;
Anche laddove il dottore commercialista S.C. non dovesse comparire, non per questo la mediazione non potrà aver corso. Il mediatore infatti potrà se del caso, ed in conformità a quanto previsto dal Regolamento dell’Organismo, formulare una proposta ai sensi dell’art.11 decr.lgsl.28/10, che provvederà a comunicare al convenuto anche nel caso in cui questi rimanga assente come è contumace in questa causa.
In questo scenario, prima della formulazione della proposta il mediatore dovrà discutere e ragionare con la parte attrice circa la possibilità di riformulazione delle pretese di F.A. (l’attore), in relazione ai risultati della consulenza disposta dal giudice. Esplorando la possibilità che un accordo possa essere raggiunto anche su basi diverse da quelle esistenti all’atto della introduzione del giudizio.
Il tutto anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale ai sensi degli artt.91 (2) e 96 III° cpc (3).

P.Q.M.

a scioglimento della riserva che precede,
• DISPONE che l’attore proceda alla mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma secondo del decr.lgsl.28/2010, della controversia;
 INFORMA che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 decr.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
• VA fissato il termine di gg.15, decorrente dal 20.1.2016, per depositare presso un organismo di mediazione la domanda di cui al secondo
• RINVIA all’udienza del 20.6.2016 2016 h.9,30 per quanto di ragione.- comma dell’art.5 del dec.lgs.28/10;
AVVISO alla parte costituita
Roma lì 7.12.2015

Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

________

(1) L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
La norma si applica a differenza della seconda parte dell’art. 8 co.IV° (relativa al contributo unificato) che riguarda solo le parti costituite, a tutte le parti.

(2) Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
(3) Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata

[ lunedì 23 novembre 2015 ]

52/15. Mediazione delegata, giudice: proposta conciliativa del mediatore pur in assenza di congiunta richiesta delle parti (Osservatorio Mediazione Civile n. 52/2015)

Il giudice, disposta la mediazione ex art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/12010, così come introdotto dall'art. 84del D. L. n. 6912013, conv. con modif. nella L. n. 98/13 (e quindi disposto che le parti, assistite dai rispettivi difensori, promuovano il procedimento di mediazione, evidenziando la necessità che al primo incontro l'attività di mediazione sia concretamente espletata) può invitare il mediatore ad avanzare proposte conciliative pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, comma 1, d.lgs. 28/2010, nonché invitare le parti ad informare tempestivamente il giudice medesimo in relazione a quanto stabilito dagli artt. 8, comma 4 bis e 13 d.lgs. 28.2010, rispettivamente per l'ipotesi della mancata partecipazione delle parti (sostanziali) senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, ed in tema di statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore (I).


 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 52/2015
 
Tribunale di Siracusa
5 luglio 2015
ordinanza
 
Omissis
 
ritenuto nel merito che, a fronte della contestazione di parte opponente A. s.r.l. dell'esistenza del rapporto negoziale tra questa e l'opposta, non emerge in atti alcuna prova di pronto apprezzamento dell'esistenza del titolo prova evidentemente a carico di C. s.r.l. ex art. 2697 c.c. in quanto attore sostanziale;
ritenuto sotto tale profilo che la circostanza per cui i pagamenti ex contractu siano stati effettuati da A. s.r.l. non può aprioristicamente fondare, in sé e per sé, anche provata l'esistenza del rivendicato rapporto negoziale in assenza di ulteriori deduzioni prove scritte e/o orali sul punto, né l'emissione da parte di C. s.r.l. di fatture nei confronti di tale soggetto può ritenersi elemento da valutarsi in tal senso, attesa la formazione unilaterale ex parte creditori di tali documenti;
ritenuto che, in migliore delle superiori considerazioni debba denegarsi la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto opposto nei confronti di A. s.r.l;
ritenuto che debba rigettarsi anche la medesima istanza proposta da parte opposta nei confronti dell'opponente E.A. atteso che:
a) non è contestata tra le parti la circostanza dell'avvenuto pagamento, da parte della A., della complessiva somma di E 193.061,00 a tutele contrattuale;
b) appare non essere in contestazione anche la circostanza dell'intercorsa pattuizione del corrispettivo ex comractu di E 185.264,76, il tutto, peraltro, a fronte - lo si rammenta - dell'omessa produzione, allo stato, di copia del relativo contratto;
c) appare non emergere allo stato, prova di pronto apprezzamento in ordine ad eventuali variazioni delle modalità convenute dell'opera, non sfuggendo che l'autorizzazione delle stesse debba essere provata '"per iscritte" (art. 1659 .c.c.) né in ordine a presunte "variazioni ordinate dal committente", nemmeno analiticamente specificate da parte opposta nelle proprie di ferire;
letto l'art. 5 co. II D. Lgs. n. 28/12010. così come introdotto dall'art. 84 del D. L. n. 6912013, conv. con modif. nella L. n. 98/13 e valutata natura della causa relativa a diritti disponibili e considerata, altresì, l'ammissibilità della mediazione c.d. delegata ai sensi dell'art. 5, comm. 2, d.lgs. n. 28/2010, trattandosi di procedimento per il quale non è stata ancora celebrata l'udienza di precisazione delle conclusioni
rilevato che l'esperimento del procedimento di mediazione, che deve concludersi entro tre mesi dalla relativa richiesta ex art. 6, d.lgs. 28/2010, non comporterà in concreto, anche in all'esito infruttuoso della procedura, alcun ritardo nella decisione della lite;
sottolineato che la soluzione conciliativa della controversia eviterà alle parti l'ulteriore aggravamento delle spese del processo.
 
PQM
 
visto l'art. 648 c.p.c., rigetta l'istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto;
differisce l'udienza al 16 novembre 2015, ore 91 come se fosse prima udienza di comparizione e trattazione;
visto l'art. 5. comma 2, D.lgs. n. 28/2010, cosi come introdotto dall'art. 84 del D. L. n. 69/2013, conv. con modif. nella L. n. 98113, dispone che le parti, assistite dai rispettivi difensori, promuovano il procedimento di mediazione, con deposito della domanda di mediazione presso un organismo abilitato, entro il termine di quindici giorni a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza; evidenzia la necessità che al primo incontro l'attività di mediazione sia concretamente espletata; il mediatore ad avanzare proposta conciliative pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, co. 1 d.lgs. 28/2010. Rammenta che il mancato, effettivo esperimento della suddetta procedura è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda; invita le parti ad informare tempestivamente il Giudice, anche mediante comunicazione presso l'indirizzo omissis, anche in relazione a quanto stabilito dagli artt. 8, co. IV bis e 13 d.lgs. 28.2010, rispettivamente per l'ipotesi della mancata partecipazione delle parti (sostanziali) senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, ed in tema di statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore.
Si comunichi alle parti.
 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

[ mercoledì 18 novembre 2015 ]

51/15. Verbale, mancanza di indicazioni circa la causa delle pretese creditorie: no all’omologazione dell’accordo (Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2015)

=> Tribunale di Firenze, 2 luglio 2015

Qualora nel verbale manchi totalmente l'indicazione del titolo posto a base dell'accordo, data la natura del tutto astratta e non titolata dell'accordo, non è possibile accertare i presupposti di cui all'art. 12 del d.lgs. 28/2010 richiesti per l'omologazione dell'accordo. La richiesta di omologazione va quindi respinta, salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte.

La radicale mancanza di ogni indicazione circa la causa delle pretese creditorie rende impossibile verificare la conformità dell'accordo all'ordine pubblico o a norme imperative in quanto, pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione (v. artt. 9 e 10 d.lgs. n. 28/2010), è evidente che ai fini dell'omologazione ex è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie, mentre l'indicazione dell'oggetto della controversia come "liquidazione del debito" è puramente astratta e non consente le predette valutazioni.


 
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2015
 
Tribunale di Firenze
Sezione II civile
2 luglio 2015
 
Omissis
 
Presidente Breggia                                                  
Esaminato l'accordo di cui al verbale di mediazione del 2.4.2015 svoltasi dinanzi  all'Organismo di mediazione omissis
 
Rilevato che l'accordo è stato sottoscritto dal mediatore Avv. omissis nonché dalle parti, sig. omissis e sig. omissis;
rilevato che, ai sensi dell'art. 12 del D.lgs. n. 28/2010, per procedere all'omologazione dell'accordo è necessario accertarne la regolarità formale e la conformità "all'ordine pubblico o a norme imperative";
rilevato che nel verbale manca totalmente l'indicazione del titolo posto a base dell'accordo sulla cosiddetta "liquidazione del debito di omissis verso omissis";
ritenuto pertanto che, data la natura del tutto astratta e non titolata dell'accordo, non è possibile accertare i presupposti di cui all'art. 12 del D.lgs. n. 28/2010 richiesti per l'omologazione dell'accordo e in particolare verificare se questo sia conforme all'ordine pubblico o a norme imperative;
ritenuto in definitiva che il verbale è stato redatto in forma allo stato non omologabile, salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte;
respinge allo stato la richiesta di omologazione ex art. 12 D.lgs. 28/2010 salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte;
rilevato che con successiva ordinanza del 18.5.2015 si disponeva la comunicazione del provvedimento interlocutorio al ricorrente, risultando effettuata la comunicazione solo all'Organismo di mediazione;
rilevato che la parte ricorrente ha depositato il 23.6.2015 copia della richiesta congiunta di mediazione, presentata da omissis e omissis;
rilevato che nel modulo di tale richiesta, nella sezione 3 relativa "all'oggetto della controversia e ragioni delle rispettive pretese", vi è l'indicazione: "liquidazione del debito di omissis, verso omissis ";
che nella sezione 2, relativa alla "materia del contendere" con invito a barrare varie indicazioni (condominio, diritti reali, etc.), risulta barrato il quadratino relativo ad uno spazio bianco privo di ogni dicitura;
che, pertanto, in base agli atti del procedimento di omologazione continua ad essere del tutto sconosciuto il titolo sottostante all'accordo raggiunto in sede mediativa, accordo peraltro complesso e articolato, con previsione addirittura della possibile vendita di un immobile, con diritto di prelazione a favore del creditore o impiego del prezzo per il saldo del residuo debito del sig. omissis nei confronti del sig. omissis;
che la radicale mancanza di ogni indicazione circa la causa delle pretese creditorie rende impossibile verificare la conformità dell'accordo all'ordine pubblico o a norme imperative;
che d'altronde, pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione (v. artt. 9 e 10 d.lgs. cit.), è evidente che ai fini dell'omologazione ex art. 12 d.lgs. n. 28/2010 è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie, mentre, nel caso di specie, l'indicazione dell'oggetto della controversia come "liquidazione del debito" è puramente astratta e non consente le predette valutazioni;
che l'Organismo di mediazione, pur invitato all'eventuale integrazione degli atti con l'ordinanza interlocutoria del 18.5.2015, non ha ritenuto di depositare alcun documento;
che ai sensi dell'art. 13 d.m. n. 180/2010 deve disporsi l'invio del presente provvedimento di rigetto anche all'Organismo di mediazione omissis e al responsabile del predetto Organismo;
 
PQM
 
1- rigetta l'istanza di omologazione ex art. 12 d. lgs. n. 28/2010;
2- manda alla cancelleria di inviare copia del presente provvedimento di rigetto anche al responsabile dell'Organismo di mediazione, omissis, nonché al responsabile del predetto Organismo.
 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

[ lunedì 09 novembre 2015 ]

49/15. G. Lavacca, Mediazione civile e autonomia contrattuale: la clausola di mediazione facoltativa. Considerazioni generali e formula (Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2015)

Pubblichiamo un altro contributo giunto in Redazione.

Mediazione civile e autonomia contrattuale:
la clausola di mediazione facoltativa da inserire nei contratti in luogo (o in aggiunta) della clausola di devoluzione del foro competente (I) (II)

di DGL Dott. Giacomo Lavacca
Mediatore Civile e Commerciale Abilitato iscritto all’OMC Camecon (Camera di mediazione per la conciliazione)
Docente presso Ente Formazione Union Concilia (Padova e Udine).
Referente Camecon, Sede Operativa per l’ Ambito della Circoscrizione del Tribunale di Pordenone.


AVVISO. Il testo e le immagini sono quelle inviate in Redazione dall'Autore, il quale è l'unico responsabile dei contenuti e della paternità dello scritto.
 
 
Riflessione sulla Mediazione Volontaria intesa come completamento dell’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti contraenti dagli artt. 1321 e successivi del Codice Civile.
 
  • « Il Contratto è l’ accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico » (art. 1321 del codice civile)
  • «Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ ordinamento giuridico» (art.1322 del codice civile)

 

Il D. Lgs. 28/2010 che istituendo la Mediazione Civile mette a disposizione dei cittadini un nuovo strumento di soluzione delle controversie di diritto civile: le Parti, nel redigere un accordo contrattuale, hanno la facoltà di inserire, la Clausola, con cui demandano la soluzione delle controversie contrattuali alle procedure previste dal D.Lgs.28/2010 per l’ attivazione e lo svolgimento della Mediazione.
Con questa previsione si dà, in concreto, al contraente e/o ai contraenti non solo la facoltà che permette con il contratto - di costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico - ma la reale possibilità di individuare ex ante una soluzione condivisa e/o mediata delle controversie.
Parliamo così di Giustizia Civile condivisa e non più imposta e subita.
 
« Giustizia condivisa e/o mediata » nel senso che, diversamente dal rito ordinario dinanzi al Giudice Unico presso il Tribunale o al Giudice di Pace, le Parti, nella Procedura di Mediazione, si trovano ad interagire per la soluzione della controversia, con un soggetto, il Mediatore Designato, che, nel rispetto delle norme e della terzietà e della privacy, non giudica, de iure e de facto, ma le aiuta ad individuare la soluzione della controversia dopo averle ascoltate, avendo nei loro confronti una posizione di < primus inter pares > cioè soggetto scevro dei poteri dispostivi che sono, invece, propri del Giudice Civile.
 
Un esempio di quanto sopra, è la sottostante clausola, che è stata predisposta dall’ Organismo a cui sono iscritto e per il quale rivesto, senza onere alcuno, l’incarico di Delegato Regionale per il Friuli Venezia Giulia, per essere inserita nei contratti di un Istituto Scolastico Privato.
 
“Qualsiasi controversia che dovesse insorgere in relazione a questo contratto e alle successive sue integrazioni e/o modificazioni, inclusa ogni controversia relativa all'esistenza, la validità, l'efficacia, l'interpretazione, l'esecuzione e/o risoluzione dello stesso, che le parti non siano in grado di risolvere tra loro, formerà oggetto di tentativo di conciliazione in base al Regolamento di Procedura di Ca. me. con -Camera di mediazione per la conciliazione- organismo iscritto al n. 109 del registro degli organismi di mediazione presso il Ministero della Giustizia. Le parti si impegnano a ricorrere alla conciliazione prima di iniziare qualsiasi procedimento giudiziale o arbitrale.”
 
(I) Abstract - aggiornato – della Relazione tenuta al Convegno, organizzato nel maggio 2013, tra gli altri, dalle C.C.I.A.A. di Verona e Vicenza e Confindustria di Padova/Verona e Vicenza (Centro Congressi CUOA, Villa Valmarana, Altavilla Vicentina - VI).
 
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2015

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

[ lunedì 02 novembre 2015 ]

48/15. MEDIA Magazine n. 10 del 2015 (Osservatorio Mediazione Civile n. 48/2014)

MEDIA Magazine
Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139
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N. 10/15  Ottobre 2015
 
Un caloroso benvenuto a tutti i nuovi iscritti!
 
 
GIURISPRUDENZA
 
Tribunale di Vasto, 23 giugno 2015
 
=> Tribunale di Palermo, 18 settembre 2015, n. 4951
 
=> Tribunale di Firenze, 12 febbraio 2015, n. 473
 
=> Cassazione civile, 2 settembre 2015, n. 17480
 
 
NORMATIVA
 
 
 
SEGNALAZIONI/PUBBLICITA’
 
SPINA, LA NUOVA ESECUZIONE. Le procedure esecutive dopo il d.l. 83/2015 convertito con legge n. 132/2015La Nuova Procedura Civile Libri, Milano, 2015
(con schemi, tabelle, formule)
ISBN: 979-12-200-0479-4
 
 
 
 
http://www.lanuovaproceduracivile.com/libro-gratuito-spina-la-nuova-esecuzione-dopo-il-d-l-832015-con-schemi-tabelle-formule/
 
 
REDAZIONE APERTA
 
Per propostecollaborazionisuggerimentisegnalazionicitazionipubblicità (eventi, corsi, prodotti editoriali, etc.) scrivere a: 
 
Guarda la presentazione di MEDIA Magazine (iscrizione gratuita)
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 48/2015
(http://osservatoriomediazionecivile.blogspot.it)
[ venerdì 30 ottobre 2015 ]

Alla parte vincitrice in giudizio spetta il compenso per l’attività di assistenza legale svolta in mediazione

Trib. di: Verona - Sentenza del: 29-10-2015 - Giudice: Massimo Vaccari
Materia: Altre - Argomento: Condanna al contributo unificato, Condanna alle spese di causa
In breve: il Tribunale di Verona, nella persona del dott. Massimo Vaccari, ha stabilito un importante principio, in ordine alla liquidazione delle spese a carico della parte soccombente: al difensore della parte vincitrice spetta il compenso per l’attività di assistenza fornita durante la mediazione, ex art. 20 del d.m. 55/2014, trattandosi di un’attività autonoma rispetto a quella di difesa prestata nel successivo giudizio.


TRIBUNALE DI VERONA

(….)
All’esito della discussione, il Giudice, dandone integrale lettura in udienza, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Il Giudice Unico del Tribunale di Verona, sezione III Civile, Dott. Massimo Vaccari
definitivamente pronunziando nella causa civile di grado promossa con atto di citazione notificato in data 20.11.2013  da
R._____ S.P.A

ATTRICE-OPPONENTE

contro

BPA Società Cooperativa

CONVENUTA – OPPOSTA

MOTIVI DELLA DECISIONE

La R. _____ S.P.A (d’ora innanzi per brevità solo R.) ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale la Banca A. per sentir condannare la XX Spa nella sua qualità di garante della R. S.p.A., di pagare in favore del predetto istituto di credito la somma di euro 153.438,31, di cui 9.661,72 per saldo debitore del c/c n.______ di cui al contratto stipulato dalla Banca con la medesima XX S.p.a. ed euro 119.628,80 per n.2 fatture export anticipate e rimaste insolute di cui al contratto n.____/100070 stipulato sempre dalla XX  S.p.a. in data 23.04.2009, e il resto per spese ed interessi di estinzione.
A sostegno dell’opposizione l’attrice ha dedotto due motivi.
Omissis (…)
Venendo alla regolamentazione delle spese di lite, esse vanno poste a carico dell’attrice opponente in applicazione del principio della soccombenza. Alla liquidazione delle somme spettanti a titolo di compenso si procede come in dispositivo sulla base del d.m. 55/2014.
In particolare il compenso per le fasi di studio ed introduttiva può essere determinato assumendo a riferimento i valori medi di liquidazione mentre quello per la fase istruttoria e per la fase decisionale va quantificato in una somma pari ai corrispondenti valori medi di liquidazione, ridotti del 30 % alla luce della considerazione che la prima è consistita nella sola partecipazione a due udienze mentre nella fase decisionale parte convenuta ha ripreso le medesime argomentazioni che avevano già svolto in precedenza.
Peraltro nel caso di specie, è possibile applicare l’art. 4, co.8, del D.M. n.55/2014, potendo qualificarsi la difesa della convenuta opposta come “manifestamente fondata”, secondo l’espressione utilizzata da tale norma.
Essa invero è stata introdotta nel D.M. 55/2014 a seguito del recepimento dell’orientamento che il Consiglio di Stato aveva espresso nel parere n.161 del 18 gennaio 2013 sulla bozza di revisione dei parametri predisposta all’epoca dal Ministero. La norma in esame ha quindi previsto quella che lo stesso Consiglio di Stato ha definito, in quella occasione, come un’ipotesi di soccombenza qualificata, riconoscibile ex officio dal giudice, avente la duplice finalità non solo di “scoraggiare pretestuose resistenze processuali” ma soprattutto di “valorizzare, premiandola, l’abilità tecnica dell’avvocato che, attraverso le proprie difese, sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie” (così testualmente il richiamato parere del Consiglio di Stato e in termini pressoché identici la relazione ministeriale al d.m.55/2014).
Ciò chiarito sulla genesi della disposizione in esame, essa viene in rilievo, ad avviso di questo Giudice, nei casi in cui il difensore di una parte riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti e, specularmente, l’infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e quindi solo grazie al proprio apporto argomentativo. Volendo esemplificare si può pensare ai casi in cui la causa risulti di pronta soluzione sulla base di prove documentali di facile intelligibilità ovvero perché involge questioni giuridiche relativamente semplici o ancora perché non vi è stata contestazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione.
Nel caso di specie la difesa della convenuta ha fornito il contributo richiesto dalla norma in esame poiché all’udienza del 19 marzo 2015 si era opposta, con puntuali argomentazioni, alla concessione dei termini ai sensi dell’art. 183 VI comma c.p.c., evidenziando così come la causa fosse matura per la decisione.
Il compenso spettante al difensore della convenuta può pertanto essere aumentato ad euro 13.773,50, ai sensi dell’art. 4, comma 8, d.m.55/2014.
Ancora, al difensore della convenuta spetta il compenso per l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione, ai sensi dell’art. 20 del d.m. 55/2014 essendosi trattato di attività con autonoma rilevanza rispetto a quella di difesa svolta nel presente giudizio. Il relativo importo va determinato in misura pari al valore medio di liquidazione previsto per le prestazioni di assistenza stragiudiziale (euro 4.320,00).
Sull’importo complessivo riconosciuto a titolo di compenso alla convenuta spetta anche il rimborso delle spese generali nella misura massima consentita del 15 % della somma sopra indicata.
Omissis (….).

P.Q.M.

Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando ogni diversa ragione ed eccezione disattesa e respinta, rigetta la domanda avanzata dall’attrice opponente e per l’effetto condanna la stessa a rifondere alla convenuta opposta le spese del presente giudizio che liquida nella somma di euro 18.093,50, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % del compenso, Iva, se dovuta e Cpa.
Visto l’art. 8 comma V del d.lgs. 28/2010 condanna l’attrice al versamento della somma di euro 330,00 all’entrata del bilancio dello Stato.
Verona 29/10/2015
il Giudice
Dott. Massimo Vaccari

[ martedì 20 ottobre 2015 ]

Avviso di nomina di un CTU (con aggravio dei costi) in caso di mancato accordo in mediazione tra banca e cliente

Trib. di: Bari - Ordinanza del: 19-10-2015 - Giudice: Laura Fazio
Materia: Contratto bancario - Argomento: Mediazione delegata, Nomina del CTU in caso di mancato accordo, Partecipazione personale


<p>N.R.G. 2014/11164</p> <p>TRIBUNALE DI BARI</p> <p>SECONDA SEZIONE CIVILE</p> <p>Il Giudice Unico,</p> <p>visti gli atti, sciogiendo la riserva che precede;</p> <p>osservato che all&rsquo;odierna udienza la defesa opponente ha insistito nella eccezione di improcedibilit&agrave; della domanda per omesso esperimento della procedura conciliativa di mediazione in violazione del disposto di cui all&rsquo;art. 5, d.lgs. n. 28/2010 tempestivamente sollevata con l&rsquo;atto di opposizione a decreto ingiuntivo;</p> <p>osservato che l&rsquo;eccezione, ritualmente proposta, appare fondata in relazione alla natura del contratto posto alla base dell&rsquo;opposto monitorio e che peraltro la parte opposta non ha neppure insistito all&rsquo;udienza del 12.10.2015 per la concessione della clausola ex art. 648 cpc;</p> <p>PQM</p> <p>Visto l&rsquo;art. 5, comma 1 bis d.lvo. 28/10;</p> <p>assegna gg. 15 dalla comunicazione del presente procedimento per l&rsquo;attivazione del procedimento di mediazione;</p> <p>INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cu all&rsquo;art. 4 comma 3 d.lgs. 28/2010 e delle conseguenze previste dalla legge in caso di mancata attivazione e/o di mancata partecipazione al procedimento.</p> <p>Rinvia per il prosieguo all&rdquo;08.02.2016 h. 9,30, riservando, in caso di mancatao raggiungimento dell&rsquo;accordo di nominare CTU (<strong>con il conseguente aggravio di costi, agevolmente superabile dvanti al mediatore e con il riscontro l&rsquo;esame congiunto dei valori dei tassi soglia vigenti e l&rsquo;eventuale ricalcolo in contraddittorio del dovuto</strong>) che provveder&agrave; a 1) accerti il CTU, acquisita la documentazione in atti, i rapporti dare/avere tra le parti e il rispetto dei singoli tassi alla soglia della legge n. 108/1996, eliminando gli addebiti per interessi in caso di superamento;</p> <p>2) applichi la capitalizzazione prevista in contratto ove la relativa clausola sia stata specificamente approvata per iscritto e ne prevede la reciprocit&agrave; tra le parti escludendo in caso contrario qualsiasi capitalizzazione; 3) determini il CTU il saldo del rapporto in questione al netto delle somme eventualmente versate dall&rsquo;opponente, verificando altres&igrave; il rispetto del tasso soglia anche in riferimento agli interessi moratori pattuiti.</p> <p>Si comunichi alle parti.</p> <p>Bari, 19.10.2015</p> <p>Il Giudice</p> <p>dott.ssa Laura Fazio</p> <p>Il presente provvedimento &egrave; stato redatto in collaborazione con la dott.ssa Mariagrazia Galati</p>

[ venerdì 16 ottobre 2015 ]

Mediazioni aventi ad oggetto contratti bancari: la mera partecipazione della banca al primo incontro non è sufficiente a ritenere effettivamente esperito il tentativo di mediazione

il Tribunale di Firenze, nella persona del dott. Scionti, ha dichiarato l’improcedibilità della domanda introdotta con ricorso monitorio dalla Banca, nonchè la domanda riconvenzionale degli opponenti, per mancato esperimento del tentativo di mediazione. Secondo il giudicante, la mera partecipazione al primo incontro non vale a ritenere esperito il tentativo di mediazione, con effetto di ritenere improcedibili le domande avanzate da entrambe le parti. Nel caso di specie, il giudice ha ravvisato come dal verbale del primo incontro di mediazione, le parti si erano limitate a manifestare la volontà di non dare seguito alla procedura di mediazione, senza tuttavia indicarne gli specifici impedimenti. Per tale ragione, il giudice ha applicato ad entrambe le parti la sanzione comminata dall’art. 5/1 bis del D. Lgs. 28/2010, dichiarando l’improcedibilità di entrambe le domande. Del resto, il “mediatore ha il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa. Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti con sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva”.


Firenze, 15.10.2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Tribunale di Firenze

Sezione III civile

 

Il Tribunale di Firenze, sezione terza civile, in composizione monocratica, nella persona del magistrato Dr. Leonardo Scionti, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa …. dell’anno 2013 promossa da

Società, Tizio e Caio

opponenti

contro

Banca

opposta

ed avente come oggetto : contratto bancario .

 

FATTO e DIRITTO

 

1   Con un atto di citazione notificato il data … 2013, Società, in qualità di debitore principale, e Tizio e Caio, in qualità di fidejussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n … 2013 emesso dal Tribunale di Firenze in data … 2013, con il quale veniva ingiunto il pagamento solidale in favore di Banca della somma di euro …, oltre interessi in forza di saldo passivo del conto corrente ordinario n .. , con competenze al .. 2012 per euro .. ,  e del correlato conto anticipi export con competenze al … 2012 per euro … .

1.1  In particolare, gli opponenti deducevano che il credito azionato in monitorio da parte opposta traeva origine da un contratto di conto corrente e un contratto di conto anticipi export accesi da Società presso Banca; che Tizio e Caio si costituivano fidejussori a favore di Banca; che, nell’ambito dei rapporti di affidamento bancario intercorsi con Banca quest’ultima compiva una serie di irregolarità, tali da rendere il credito azionato in monitorio e oggetto dell’opposto decreto incerto, illiquido ed inesigibile; che, in specifico, era violato l’obbligo di forma scritta del contratto di apertura di credito, era applicato un tasso di interesse superiore al tasso soglia in materia di usura ed un’illegittima capitalizzazione degli interessi, erano addebitate somme di denaro a titolo di commissione di massimo scoperto con illegittima anticipazione o posticipazione nella determinazione dei giorni di valuta per le singole operazioni. Gli opponenti concludevano pertanto: affinché fosse revocato il decreto opposto e stabilito l’esatto dare – avere tra le parti, con conseguente condanna di parte opposta alla restituzione in favore degli opponenti delle somme versate e non dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria; affinché fosse altresì condannata, in ogni caso, parte opposta al risarcimento dei danni subiti dagli opponenti a causa dell’illegittima condotta assunta ex adverso; con vittoria di compensi e spese, anche della fase monitoria.

  • Si costituiva in giudizio la convenuta opposta, la quale, in via preliminare, eccepiva l’ inammissibilità delle avverse domande di restituzione di somme e risarcimento dei danni, in quanto erroneamente non proposte dagli opponenti in via riconvenzionale; nel merito, ne eccepiva comunque l’infondatezza, in quanto non provate né quantificate; concludeva, in tesi, affinché fosse respinta l’opposizione e, in subordine, affinché fossero condannati gli opponenti al pagamento in favore di Banca della somma che sarebbe risultata in corso di causa, con vittoria di spese e compensi.
  • Concessa la provvisoria esecutorietà del decreto opposto, il Giudice, con ordinanza del … 2014, disponeva che le parti esperissero il procedimento di mediazione obbligatorio ex lege con onere di impulso a carico di parte opposta, dando specifico conto dell’ interpretazione offerta dal Tribunale in ordine all’effettivo perfezionarsi di detto procedimento. Alla successiva udienza emergeva dal verbale reso dall’Organo di mediazione prodotto in atti che le parti presenti al primo incontro avevano dato atto che “allo stato non sussistono i presupposti per poter dare avvio al procedimento di mediazione” senza fornire idonea, specifica e motivata giustificazione al mancato avvio di un effettivo tentativo di mediazione. Ritenuta la causa matura per la decisione, il Giudice rinviava le parti all’udienza odierna ai sensi dell’art. 281sexiesp.c. . Queste ultime precisavano le conclusioni come in verbale e discutevano oralmente la causa.

2   La domanda introdotta da parte opposta con ricorso monitorio e sfociata nell’emissione del decreto ingiuntivo  n …  2013 di questo Tribunale qui opposto, così come la riconvenzionale avanzata dagli opponenti in citazione, devono essere dichiarate improcedibili a norma dell’art. 5 bis del D. Lgs. 28/2010 (come modificato dal D.L. 21.6.2013, n. 69, convertito in L. 9.8.2013).

2.1 Come già rilevato in sede di ordinanza del … 2014, al cui specifico contenuto si rinvia, l’effettivo esperimento del tentativo di mediazione non è rimesso alla mera discrezionalità delle parti, con conseguente libertà di queste, una volta depositata la domanda di avvio della procedura e fissato il primo incontro davanti al mediatore, di manifestare il proprio disinteresse nel procedere al tentativo, ma costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’articolo 8 del succitato D. Lgs. 28/2010 , nel prevedere che il mediatore durante i primo incontro, debba invitare le parti e i loro avvocati “ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione”, deve difatti essere interpretato nel senso di attribuire al mediatore il compito di verificare l’eventuale sussistenza di concreti impedimenti all’effettivo esperimento della procedura e non già quello di accertare la volontà delle parti in ordine alla opportunità di dare inizio alla stessa. Se così non fosse non si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti con sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva. Ciò ribadito, nel caso di specie non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione. Alla luce del verbale prodotto in atti da parte opposta all’udienza del … 2015, le parti presenti al primo incontro davanti al mediatore si son limitate a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all’effettivo svolgersi del procedimento e rendendo, di fatto, necessaria l’applicazione della sanzione comminata dall’art. 5/1 bis del D. Lgs. 28/2010. A nulla vale la circostanza che siano state ambedue le parti ad impedire l’effettivo tentativo di mediazione con la loro concorde –ingiustificata- volontà di sottrarsi ad esso, ciò comportando piuttosto che ciascuna di esse sarà sottoposta alla sanzione indicata dalla legge, vale a dire alla dichiarazione di improcedibilità della rispettiva domanda proposta.

2.2 Difatti, posto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l’ accertamento dei fatti costitutivi della pretesa creditoria fondante l’emissione del decreto ingiuntivo opposto, la sanzione dell’improcedibilità dovrà innanzitutto colpire la domanda sostanziale azionata da Banca in sede monitoria, con conseguente revoca dell’ opposto decreto. D’altro lato, indipendentemente, dalla parte opposta, analoga volontà di non procedere nel merito del tentativo era manifestata altresì da parte opponente, la cui riconvenzionale –come sopra anticipato- deve essere altrettanto dichiarata improcedibile.

3  Ogni questione di merito deve intendersi assorbita.

4  Tenuto conto dell’esito della lite, le spese devono intendersi interamente compensate tra le parti.

 

PER  QUESTI  MOTIVI

 

il Tribunale di Firenze, ogni altra domanda reietta, definitamente pronunciando sull’ opposizione promossa da Società, in qualità di debitore principale, Tizio e Caio in qualità di fidejussori, nei confronti di Banca avverso il decreto ingiuntivo n. … 2013 emesso dal Tribunale di Firenze in data … 2013, così provvede:

1) dichiara l’improcedibilità della domanda introdotta da Banca con ricorso monitorio e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. … 2013 emesso dal Tribunale di Firenze in data …. 2013;

2) dichiara l’improcedibilità della domanda riconvenzionale avanzata dagli opponenti;

3) dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti, come in parte motiva.

 

Così deciso in Firenze il 15.10.2015.

 

Il Giudice

Dr. Leonardo Scionti

[ giovedì 15 ottobre 2015 ]

Opposizione a decreto ingiuntivo: la mancata attivazione della procedura di mediazione determina l’improcedibilità della domanda di opposizione con conseguente esecutività del decreto ingiuntivo

Trib. di: Pavia - Sentenza del: 12-10-2015 - Giudice: Giorgio Marzocchi
Materia: Opposizione a decreto ingiuntivo - Argomento: Improcedibilità della domanda, Mediazione delegata


Pavia, 12.10.2015

 

REPUBBLICA  ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

TRIBUNALE DI PAVIA

Sezione III civile

R.G. 3856 / 14

 

In composizione monocratica, ai sensi dell’art. 50 ter c.p.c. in persona del dr. Giorgio Marzocchi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

ex art. 281 sexies, cpc

nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato promossa con atto di citazione per opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 20.05.2014 a ruolo il 30.05.2014

DA

Società

attrice-opponente

CONTRO

Ditta individuale

Convenuta opposta

 

*  *  *  *  *

 

All’udienza del 12.10.2015, precisate le conclusioni e udita la discussione orale prevista dall’art. 281sexies cpc , viene pubblicata con deposito in cancelleria la seguente sentenza, avendo i difensori rinunciato alla lettura del provvedimento.

 

FATTO e MOTIVI

 

1 – Con atto di citazione notificato il 20.05.2014 Società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo … col quale il Tribunale di Pavia, su ricorso della Ditta individuale ingiungeva il pagamento della somma di euro 11.783,83, oltre accessori; rilevava l’opponente che il credito era fondato su fatture relative a prestazioni di servizi svolte …….. .

 

2 – …………… .

 

3 – Nel corso della causa era concessa una parziale provvisoria esecuzione del decreto opposto e, con la stessa ordinanza, era ordinato l’avvio di una mediazione demandata ex art. 5, co. 2 D.Lgs. 28/2010, disponendo che l’onere dell’attivazione della procedura fosse posto genericamente a carico dalla parte più diligente; all’udienza destinata alla verifica dell’esisto della mediazione le parti dichiaravano che nessuna aveva avviato la mediazione; veniva sollevata tempestivamente eccezione di improcedibilità della domanda dalla convenuta opposta e, riservato ogni provvedimento sull’ improcedibilità, su istanza dell’opponente era svolto anche un tentativo di conciliazione giudiziale, che non dava esito; l’opposta chiedeva quindi che fosse fissata udienza ex art. 281 sexies cpc di discussione sulla questione preliminare di declaratoria di improcedibilità del giudizio e di conseguente conferma del decreto ingiuntivo; l’udienza per le conclusioni e la discussione orale era fissata per il 12.10.2015.

 

4 – L’eccezione di improcedibilità della domanda è fondata e va accolta con la conferma del decreto ingiuntivo. Il D.Lgs. 28/2010 ha istituito la mediazione obbligatoria nelle materie elencate nell’art. 5, co.1-bis e la mediazione obbligatoria per provvedimento del giudice, ex art. 5, co. 2, D.Lgs. cit. . E’ noto che la mediazione è una procedura alternativa di soluzione delle controversie istituita nel nostro ordinamento su sollecitazione della Comunità Europea, in quanto si tratta di una procedura necessaria ad integrare i sistemi di risoluzione giudiziale delle controversie civili e commerciali. Nel nostro ordinamento, vista la crisi nella quale si dibatte l’amministrazione della giustizia, la mediazione ha assunto, in modo anomalo, la funzione di strumento per la deflazione del carico giudiziario. Il citato decreto legislativo ha quindi istituito un sistema di sanzioni per le parti renitenti alla mediazione e di incentivi per le parti che invece vi partecipano. Per quanto concerne le sanzioni si va dalla sanzione più grave dell’improcedibilità della domanda giudiziale a sanzioni processuali come la facoltà per il giudice di valutare il comportamento delle parti rispetto alla mediazione come elemento di valutazione ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 116, co.2 cpc, alla sanzione pecuniaria della condanna della parte al pagamento in favore del bilancio dello Stato di una somma pari al contributo unificato per il giudizio (art. 8, co 4bis D.Lgs. 28/2010). Al giudice il compito di applicare le sanzioni al caso concreto, distinguendo tra i casi nei quali il comportamento delle parti va sanzionato più gravemente con l’improcedibilità, per non aver le parti nemmeno avviato la mediazione da quelli meno gravi, che si configurano quando la partecipazione alla mediazione non sia stata rispettosa dell’art. 8 co. 1, D.Lgs. 28/2010, che prevede la presenza di parti e avvocati dall’incontro preliminare fino all’ultimo incontro di procedura, sanzionabili con la condanna al pagamento del contributo unificato. Gli incentivi sono invece previsti agli artt. 17 e 20, D.Lgs. 28/2010 e riguardano agevolazioni di natura fiscale per le parti che raggiungono un accordo in mediazione e vantaggi minori per le parti che vi partecipano pur senza raggiungere un accordo amichevole.

 

5 – Nella specie ci si trova di fronte ad un comportamento grave delle parti le quali, pur avendo ricevuto un formale invito, rivolto genericamente alla parte più diligente, ad avviare una mediazione ai sensi dell’art. 5, co.2, D.Lgs. 28/2010, non hanno ottemperato all’invito. Sia l’art. 5, co. 1-bis che l’art. 5, co. 2, D.Lgs. cit. stabiliscono che in questi casi la mediazione assume valenza di condizione di procedibilità del giudizio. Nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo la mediazione può essere disposta dal giudice solo dopo aver deciso sulla provvisoria esecuzione del decreto opposto, stante l’urgenza di provvedere sulla provvisoria esecuzione. Nella specie è pacifico che nessuna delle parti ha avviato la mediazione e dunque che nessuna delle parti ha assolto all’onere di realizzare la condizione di procedibilità. E’ evidente quindi che la situazione verificatasi dovrà portare alla declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5, co.2 .

 

6 – Molto si è discusso e si discute in dottrina e in giurisprudenza sulle conseguenze della declaratoria di improcedibilità della domanda sul decreto ingiuntivo opposto. Dottrina e giurisprudenza si sono lungamente interrogate senza ancora aver trovato una risposta definitiva sul punto. E’ evidente, si è rilevato, che in un giudizio ordinario la domanda è formulata dall’attore, che ha anche in tale veste l’onere di attivarsi per avviare la mediazione allo scopo di evitare la declaratoria di improcedibilità della sua stessa domanda. Nel caso il convenuto avesse proposto domanda riconvenzionale è tale parte che avrebbe interesse ad avviare la procedura di mediazione. Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, senza una esplicita regolamentazione, l’individuazione del soggetto tenuto ad avviare la mediazione, specie di fronte ad un’ordinanza giudiziale –come nella specie- che non indica quale delle parti è da ritenersi onerata dell’avvio del tentativo di mediazione, è oggettivamente più difficile stabilire chi fosse tenuto ad avviare la procedura di mediazione e occorre risalire ai princìpi per dare risposta alla necessità di individuare il soggetto onerato dell’avvio della mediazione. In assenza, poi, in questa fase, di una decisione della Suprema Corte, la giurisprudenza di merito si è divisa. Secondo un primo orientamento, la domanda giudiziale che dovrebbe essere dichiarata improcedibile è quella avanzata dal creditore sostanziale col ricorso ingiuntivo, dunque la parte onerata sarebbe il convenuto opposto (tra le tante : Tr. Lamezia Terme 19.04.12; Tr. Varese 18.05. 12; Tr. Siena 25.06.12; Tr. Firenze 24.09.14; Tr. Ferrara 07.01.15). Ne conseguirebbe, per tale orientamento, che la sanzione di improcedibilità dovrebbe colpire la domanda contenuta nel decreto opposto, che dovrebbe essere revocato. Altro orientamento ritiene invece che la parte onerata dell’avvio della mediazione sia l’opponente e quindi, in caso di omessa mediazione la sanzione dell’improcedibilità della domanda dovrebbe colpire quella svolta dall’opponente, anche se finalizzata solo a paralizzare il decreto (tra le tante: Tr. Prato 18.07.11; Tr. Busto Arsizio 15.06.12; Tr. Rimini 05.08.14; Tr. Firenze 30.10.14; Tr. Nola 24.02.15). La conseguenza, per tale secondo orientamento, è che l’improcedibilità della domanda dovrebbe comportare la conferma del decreto. I due opposti orientamenti giurisprudenziali, molto sommariamente descritti, portano vari e pregevoli argomenti al loro sostegno, che diamo per noti.

 

7 – Ad avviso dello scrivente, il problema interpretativo non si porrebbe se il provvedimento giudiziale che dispone la mediazione ex art. 5, sia comma 1-bis che comma 2 attribuisse l’onere a una delle parti litiganti. Se così fosse, sarebbe evidente che la sanzione di improcedibilità applicata all’opposto comporterebbe la conferma del decreto e la medesima sanzione di improcedibilità applicata all’opposto comporterebbe la revoca del decreto. Laddove, come nella specie, non v’è attribuzione dell’onere di avviare la mediazione ad una delle parti litiganti ma genericamente alla parte più diligente, la tesi preferibile sarebbe quella che discende dall’applicazione del principio di cui all’art. 653, co.1 cpc, a mente del quale “ se … è dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva”.  La norma stabilisce un principio processuale di natura generale che si applica a tutti i casi di estinzione del processo per inattività delle parti. Determina l’estinzione del giudizio l’inattività delle parti che si concretizza nell’inosservanza del termine fissato dal giudice all’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario; la mancata rinnovazione della citazione; l0messa riassunzione del giudizi nel termine di legge; la mancata comparizione dei difensori delle parti a due udienze consecutive, nonostante l’avviso di cancelleria (cfr. artt. 102, 181, 307 e 309 cpc). Lo stesso principio va applicato al decreto ingiuntivo in caso di mancato avvio della mediazione. Si è di fronte, nella specie, ad un’inattività qualificata della parte opponente che dovrà sopportare le conseguenze della sua inerzia, consistenti nella sanzione di improcedibilità dell’opposizione e nella conferma del divieto opposto. Stesse conseguenze si avrebbero in grado di appello, se l’appellante non coltivasse il giudizio di appello non costituendosi o non presentandosi all’udienza o non avviasse la mediazione demandata. Ex art. 348 cpc il giudizio di appello sarebbe dichiarato improcedibile anche d’ ufficio e la conseguenza sarebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. L’opponente che si vedesse sanzionato con l’estinzione del giudizio, tuttavia, non potrebbe valersi dell’ applicazione dell’art. 310 cpc, co. 1 cpc, della riproposizione della sua domanda in altro giudizio, dal momento che, con la conferma del decreto ingiuntivo, tale provvedimento oltre ad acquistare –se già non ne è dotato- l’efficacia esecutiva, passa anche in giudicato.

 

8 – Le spese legali dovrebbero seguire la soccombenza ma, trattandosi di questione nuova unitamente all’assenza di provvedimenti di legittimità, si ritiene sussistano giusti  motivi per una compensazione integrale delle spese del giudizio di opposizione.

 

P . Q . M .

 

il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, così provvede:

1 ) ritenuta non soddisfatta la condizione di procedibilità dell’avvio della mediazione, ex art. 5, c. 2, D.Lgs. 28/2010, dichiara improcedibile l’opposizione e conferma il decreto ingiuntivo opposto … in ogni sua parte;

2 )  spese legali del giudizio di opposizione integralmente compensate.

Così detto in Pavia, in esito all’udienza del 12 ottobre 2015.

 

Si comunichi.

 

Dott. Giorgio Marzocchi

[ venerdì 18 settembre 2015 ]

Tribunale di Palermo, 18 settembre 2015, n. 4951

Delibera condominiale, impugnazione, decadenza, domanda di mediazione: rileva il momento della comunicazione alle altri parti (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2015)


46/15. Delibera condominiale, impugnazione, decadenza, domanda di mediazione: rileva il momento della comunicazione alle altri parti (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2015)

 
=> Tribunale di Palermo, 18 settembre 2015, n. 4951
 
Il termine di decadenza per l’impugnazione della delibera assembleare viene sospeso – per una sola volta – dalla domanda di mediazione; ma non dal giorno della sua presentazione, bensì «dal momento della comunicazione alle altri parti» (I) (II).
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2015
 
Tribunale di Palermo
Sezione II
sentenza
18 settembre 2015
n. 4951
 
Omissis
 
Con atto di citazione notificato in data 17.10.14 omissis conveniva in giudizio il Condominio omissis in persona del legale rappresentante pro tempore chiedendo di dichiarare la sospensione della delibera del 27.5.2014 primo , secondo , terzo punto quarto punti dell’o.d.g., nel merito dichiarare che il condominio è tenuto a rielaborare le ripartizioni di spesa relative ai due anni 2012-2013 sopra detti in considerazione dell’unità immobiliare da includere nel compendio condominiale e che l’onere economico della quota parte ad essa relativa va caricato sui condomini che ne risultino proprietari, annullare con qualsiasi formula al delibera del 9.92014 nei punti relativi al rendiconto anni 2012-2013 e alla ratifica della nomina dell’amministratore dichiarando l’invalidità della delibera dei 27.5.2014, con vittoria di spese competenze ed onorari di causa.
Si costituiva il Condominio omissis in persona del legale rappresentante pro tempore che eccepiva l’inammissibilità dell’azione in quanto tardiva, la carenza di legittimazione attiva dell’attore e nel merito chiedeva il dichiararsi cessata la materia del contendere, con vittoria ,di spese competenze ed onorari di causa.
La causa, istruita sulla base della documentazione allegata in atti, fatte precisare le conclusioni, all’udienza odierna è stata decisa come da separato verbale che qui si intende ripetuto e trascritto.
Ebbene è pacifico che durante il tentativo di mediazione, il termine di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere assembleari si sospende e riprende dalla data di redazione e deposito del verbale negativo. Il comma 6 dell’articolo 5 del Dlgs 28/2010 stabilisce che «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda, giudiziale», aggiungendo che, «dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito dei verbale di cui all’articolo II presso la segreteria dell’organismo».
Al fine di verificare il rispetto del predetto perentorio termine di legge occorre rifarsi al combinato disposto tra la vigente formulazione dell’art. 1137, comma II, cod. civ, il quale recita: ” Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. ” Pertanto, è certo che l’art. 5 del Dlgs. 28/2010 non richiama l’art. 2943 del 2 c.c. In fatto, antecedentemente alla presente azione parte attrice, per impugnare le delibere assembleari del 27 maggio 2014 oggetto del presente giudizio, ha promosso una istanza di mediazione presso l’organismo omissis, la cui comunicazione è pervenuta al Condominio in data 26 giugno 2014, quindi al 29° giorno dal perfezionamento delle delibere qui impugnate, nonché al 28° giorno dalla data in cui parte attrice ne ha ricevuto il relativo verbale. Il termine di decadenza per l’impugnazione della delibera assembleare viene quindi sospeso – per una sola volta – dalla domanda di mediazione, ma non dal giorno della sua presentazione, bensì «dal momento della comunicazione alle altri parti».
Orbene, nel caso che ci occupa la mediazione è fallita nel secondo incontro delle parti avvenuto in data 1710912014, in pari data veniva depositato il relativo verbale negativo presso la segreteria dell’Organismo e, contestualmente, riprendeva a decorrere il termine dei trenta giorni previsto ex lege per l’impugnazione, della delibera. Atteso che la comunicazione dell’istanza di mediazione proposta ex adverso era pervenuta in data 26 giugno 2014, cioè decorsi 28 giorni da quando parte attrice aveva ricevuto il verbale relativo alle delibere impugnate, quest’ultima avrebbe dovuto iscrivere la presente causa a ruolo, entro i due giorni a lei rimanenti per promuovere l’azione giudiziaria; quindi entro non oltre la data del 19 settembre 2014, e non dopo un mese dalla suddetta perentoria scadenza, come nel caso che ci occupa.
Da qui va accolta l’eccezione di inammissibilità della presente impugnazione e dunque ogni altro motivo non va esaminato.
Le spese di lite, stante comunque la novità della materia e il comportamento processuale delle parti si compensano tra le parti nella misura di cui in parte dispositiva.
[ mercoledì 02 settembre 2015 ]

Cassazione civile, 2 settembre 2015, n. 17480

Competenza territoriale dell’organismo di mediazione: la regola della corrispondenza tra luogo dell'organismo e luogo del giudice competente (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2015)


44/15. Competenza territoriale dell’organismo di mediazione: la regola della corrispondenza tra luogo dell'organismo e luogo del giudice competente (Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2015)

 
=> Cassazione civile, 2 settembre 2015, n. 17480
 
L’art. 2, d.lgs. n.28/2010 collega la localizzazione dell'organismo di mediazione al foro della controversia, non viceversa: il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l'organismo cui accedere in fase conciliativa.
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 44/2015
 
Cassazione civile
Sezione VI
ordinanza
2 settembre 2015
 
Omissis
 
L'avvocato D.V.D., in proprio, ha proposto ricorso per regolamento di competenza avverso l'ordinanza in data 10-12 novembre 2014 del Tribunale di Roma, resa nel giudizio civile n. 66334/2013 RG pendente tra lo stesso ricorrente, attore, e F. s.p.a., con la quale il Tribunale ha declinato la propria competenza in favore di quella del Tribunale di Milano.
Il Tribunale di Roma ha declinato la accolto l'eccezione di incompetenza territoriale formulata dalla società F., convenuta per danni conseguenti alla "perdita" del numero telefonico del ricorrente in relazione alla c.d. portabilità dell'utenza dal precedente gestore di telefonia (Telecom s.p.a.), ed ha individuato la competenza del Tribunale di Milano sul rilievo della clausola n. 25 delle condizioni generali di contratto inter partes, sottoscritta specificamente dall'interessato a norma dell'art. 1341, secondo comma, c.c., che individua appunto nel foro di Milano quello prescelto in sede negoziale.
Il ricorrente ha criticato questa conclusione in base all'argomento incentrato sull'applicazione della L. n. 249 del 1997, art. 1, il quale stabilisce, nella materia, l'obbligo di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (Co.re.com.), tentativo da svolgere, secondo l'art. 3 e ss. del relativo regolamento attuativo, presso l'organismo del luogo in cui è ubicata la postazione fissa dell'utente finale ovvero del domicilio indicato dall'utente in sede contrattuale, e dunque nella specie quello di Roma, con la conseguenza che anche l'autorità giudiziaria competente alla cognizione della controversia deve essere individuata secondo lo stesso criterio, alla luce della disposizione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, secondo il quale la domanda di mediazione si propone all'organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, così stabilendo - sempre secondo il ricorrente - il principio della necessaria coincidenza tra la competenza territoriale dell'organismo conciliativo e quella dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale portare la controversia.
All'istanza di regolamento di competenza ha resistito con memoria la s.p.a. F..
Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380 ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all'esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato quanto segue:
Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero ha osservato quanto segue:
"Considerato che la tesi del ricorso non è suscettibile di essere accolta, per le seguenti ragioni:
A) la L. n. 249 del 1997, art. 1, (Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), invocato dal ricorrente a presupposto della censura, nei suoi commi 11 e 12 così dispone:
"11. L'Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di Licenze tra loro. Per le predette controversie,individuate con provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.
12. I provvedimenti dell'Autorità definiscono le procedure relative ai criteri minimi adottati dalle istituzioni dell'Unione Europea per la regolamentazione delle procedure non giurisdizionali a tutela dei consumatori e degli utenti. I criteri individuati dall'Autorità nella definizione delle predette procedure costituiscono principi per la definizione delle controversie che le parti concordino di deferire ad arbitri";
Nella sua formulazione testuale, dunque, la disposizione della L. n. 249 del 1997, non solo nulla stabilisce in merito alla questione della competenza territoriale, limitandosi a prescrivere una condizione di proponibilità della domanda (Cass., n. 24334/2008;
peraltro non vincolante quanto all'organismo ivi indicato, nella fase di transizione, fino al funzionamento dei Comitati regionali per le comunicazioni: Cass. n. 14103/2011), ma si limita, per chiaro dettato, a regolare una fase pre-giurisdizionale (la "soluzione non giurisdizionale delle controversie"), senza interferire con la individuazione del giudice o con le regole di determinazione della competenza e dunque senza interessarsi della fase giudiziale successiva;
B) il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, (Attuazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 60, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), parallelamente invocato dal ricorrente in una sorta di combinato disposto con la norma di cui al punto che precede - nel testo, applicabile temporalmente, susseguente alle modifiche di cui al D.L. n. 69 del 2013, conv. dalla L. n. 98 del 2013, a decorrere peraltro non dall'8 settembre 2013, come afferma il ricorso, ma dal 20 settembre 2013, ossia trenta giorni dopo l'entrata in vigore della legge di conversione e cioè a partire dal 21 agosto 2013, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale; cfr. art. 1, comma 3, della legge in discorso - a sua volta, stabilisce, per quanto qui rileva, nel comma 1: "Accesso alla mediazione. 1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza".
Le controversie di cui all'art. 2 del medesimo testo normativo, al quale la citata disposizione fa rinvio, sono così indirettamente definite: "Controversie oggetto di mediazione. 1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto. 2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, ne1 le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi".
Ma le controversie nelle quali è prevista la mediazione quale condizione di procedibilità sono definite nell'art. 5 dello stesso testo legislativo; esse, dopo la sentenza della Corte cost. n. 272/2012 e nel testo novellato dal citato D.L. n. 69 del 2013, conv. in L. n. 98 del 2013, sono, in base alla disposizione del comma 1 bis, così enumerate: "1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal D.Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, (omissis)".
Si ricava da tali disposizioni la triplice conseguenza che:
1) la regolazione della mediazione obbligatoria - ovvero quale condizione di proponibilità della domanda - posta dal D.Lgs. n. 28/2010 non concerne, per materia, la controversia in esame;
2) la generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, indicata nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 4, per le cause non a mediazione obbligatoria, non può trovare applicazione nella controversia in esame, che, essendo regolata dalla L. n. 249 del 1997, secondo un modulo di conciliazione preventiva obbligatorio, presuppone che sussista il rapporto di condizionamento tra previo esperimento della fase pre-giudiziale e causa, rapporto che non è predicabile in base all'art. 2 invocato;
3) inoltre, ed in linea di principio è rilievo dirimente, la regola di corrispondenza tra luogo dell'organismo di conciliazione e luogo del giudice competente, regola sulla quale il ricorrente incentra la propria doglianza, deve essere rovesciata, poiché - anche secondo il tenore letterale della norma, che collega la localizzazione dell'organismo amministrativo al foro della controversia, non viceversa, e che dunque suppone come operazione preliminare la determinazione del giudice, da cui quella dell'organismo deriva – altrimenti si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza, sostanzialmente abrogate nell'intera materia in discorso e sostituite dal solo criterio di determinazione dell'organismo di conciliazione.
Il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l'organismo cui accedere in fase conciliativa;
C) in connessione con il rilievo appena indicato, non si potrebbe fare leva sulla disciplina regolamentare - anche essa invocata nel ricorso - di cui alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 173/2007, e segnatamente dell'art. 4, rubricato "competenza per territorio", il quale prevede che "per determinare il Co.re.com. territorialmente competente per l'esperimento del tentativo di conciliazione di cui all'art. 2, si ha riguardo al luogo in cui è ubicata la postazione fissa ad uso dell'utente finale ovvero, negli altri casi, al domicilio indicato dall'utente al momento della conclusione del contratto o, in mancanza, alla sua residenza o sede legale", perchè tale delibera dell'Autorità garante non potrebbe in alcun caso incidere, tanto più in assenza di autorizzazione primaria, sulla fonte di livello legislativo e segnatamente sulle regole processuali in materia di competenza, riservate, per Costituzione, alla fonte legislativa (statale).
Sicché non potrebbe una fonte di livello regolamentare costituire valida disposizione costitutiva di quella "inderogabilità disposta espressamente dalla legge" alla quale ha riguardo l'art. 28 c.p.c. e che è dedotta dal ricorso a sostegno della impugnativa, quale (unica) ragione di superamento della clausola concordata.
Considerato che per le ragioni anzidette non può accogliersi l'unico motivo della censura mossa nei riguardi della declinatoria della competenza da parte del giudice di Roma, non essendo per il resto in discussione la validità della clausola di determinazione convenzionale che indica in quello di Milano il foro competente (e non essendo, peraltro, ex se inefficace quale condizione processuale di proponibilità l'avvenuto esperimento dell'istanza di conciliazione, ancorchè svolto dinanzi a un organismo incompetente)".
Sulla base delle riportate conclusioni il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto dell'istanza di regolamento di competenza.
Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni del Pubblico Ministero, alle quali deve aggiungesi solo quanto segue.
Nella memoria parte ricorrente dissente da esse insistendo nella sua prospettazione secondo cui il disposto regolamentare dell'Autorità Garante avrebbe l'effetto di individuare, per il tramite dell'indicazione dell'organo competente a ricevere il procedimento di definizione alternativa della lite, anche la competenza territoriale.
Tale assunto si scontra in primo luogo contro il criterio esegetico che impone di leggere l'oggetto di disciplina come limitato all'individuazione della sede del detto procedimento e preclude qualsiasi lettura estensiva, in assenza di indici che la rivelino.
Inoltre, se anche l'esegesi suggerita dal ricorrente avesse una qualche legittimazione nel disposto normativo, si tratterebbe di esegesi che non si potrebbe preferire o che comunque si dovrebbe disattendere mediante il criterio della disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, perché una fonte regolamentare avrebbe preteso di derogare alla legge, cioè al codice di rito. E ciò in mancanza di una previsione di legge (nella L. n. 249 del 1997, o altrove) legittimante un simile effetto mediante la tecnica del c.d.
regolamento autorizzato a modificare disposizioni di legge, per il tramite dell'avallo di un fenomeno di c.d. delegificazione.
L'istanza di regolamento dev'essere, dunque, rigettata e dev'essere dichiarata la competenza del Tribunale di Milano, dinanzi al quale il giudizio sarà riassunto nel termine di ci all'art. 50 c.p.c., decorrente dalla comunicazione del deposito della presente.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
 
PQM
 
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Milano. Fissa per la riassunzione il temine di cui all'art. 50 c.p.c., con decorso dalla comunicazione del deposito della presente.
Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di regolamento, liquidate in Euro millequattrocento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile - 3, il 16 luglio 2015.

[ giovedì 02 luglio 2015 ]

Tribunale di Firenze, 2 luglio 2015

Verbale, mancanza di indicazioni circa la causa delle pretese creditorie: no all’omologazione dell’accordo (Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2015)


51/15. Verbale, mancanza di indicazioni circa la causa delle pretese creditorie: no all’omologazione dell’accordo (Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2015)

 
=> Tribunale di Firenze, 2 luglio 2015
 
Qualora nel verbale manchi totalmente l'indicazione del titolo posto a base dell'accordo, data la natura del tutto astratta e non titolata dell'accordo, non è possibile accertare i presupposti di cui all'art. 12 del d.lgs. 28/2010 richiesti per l'omologazione dell'accordo. La richiesta di omologazione va quindi respinta, salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte.
 
La radicale mancanza di ogni indicazione circa la causa delle pretese creditorie rende impossibile verificare la conformità dell'accordo all'ordine pubblico o a norme imperative in quanto, pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione (v. artt. 9 e 10 d.lgs. n. 28/2010), è evidente che ai fini dell'omologazione ex è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie, mentre l'indicazione dell'oggetto della controversia come "liquidazione del debito" è puramente astratta e non consente le predette valutazioni.
 
 
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2015
 
Tribunale di Firenze
Sezione II civile
2 luglio 2015
 
Omissis
 
Presidente Breggia                                                  
Esaminato l'accordo di cui al verbale di mediazione del 2.4.2015 svoltasi dinanzi  all'Organismo di mediazione omissis
 
Rilevato che l'accordo è stato sottoscritto dal mediatore Avv. omissis nonché dalle parti, sig. omissis e sig. omissis;
rilevato che, ai sensi dell'art. 12 del D.lgs. n. 28/2010, per procedere all'omologazione dell'accordo è necessario accertarne la regolarità formale e la conformità "all'ordine pubblico o a norme imperative";
rilevato che nel verbale manca totalmente l'indicazione del titolo posto a base dell'accordo sulla cosiddetta "liquidazione del debito di omissis verso omissis";
ritenuto pertanto che, data la natura del tutto astratta e non titolata dell'accordo, non è possibile accertare i presupposti di cui all'art. 12 del D.lgs. n. 28/2010 richiesti per l'omologazione dell'accordo e in particolare verificare se questo sia conforme all'ordine pubblico o a norme imperative;
ritenuto in definitiva che il verbale è stato redatto in forma allo stato non omologabile, salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte;
respinge allo stato la richiesta di omologazione ex art. 12 D.lgs. 28/2010 salva l'integrazione da parte dell'istante delle informazioni mancanti anche attraverso la produzione di copia della domanda di mediazione nonché della dichiarazione di adesione della controparte;
rilevato che con successiva ordinanza del 18.5.2015 si disponeva la comunicazione del provvedimento interlocutorio al ricorrente, risultando effettuata la comunicazione solo all'Organismo di mediazione;
rilevato che la parte ricorrente ha depositato il 23.6.2015 copia della richiesta congiunta di mediazione, presentata da omissis e omissis;
rilevato che nel modulo di tale richiesta, nella sezione 3 relativa "all'oggetto della controversia e ragioni delle rispettive pretese", vi è l'indicazione: "liquidazione del debito di omissis, verso omissis ";
che nella sezione 2, relativa alla "materia del contendere" con invito a barrare varie indicazioni (condominio, diritti reali, etc.), risulta barrato il quadratino relativo ad uno spazio bianco privo di ogni dicitura;
che, pertanto, in base agli atti del procedimento di omologazione continua ad essere del tutto sconosciuto il titolo sottostante all'accordo raggiunto in sede mediativa, accordo peraltro complesso e articolato, con previsione addirittura della possibile vendita di un immobile, con diritto di prelazione a favore del creditore o impiego del prezzo per il saldo del residuo debito del sig. omissis nei confronti del sig. omissis;
che la radicale mancanza di ogni indicazione circa la causa delle pretese creditorie rende impossibile verificare la conformità dell'accordo all'ordine pubblico o a norme imperative;
che d'altronde, pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione (v. artt. 9 e 10 d.lgs. cit.), è evidente che ai fini dell'omologazione ex art. 12 d.lgs. n. 28/2010 è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie, mentre, nel caso di specie, l'indicazione dell'oggetto della controversia come "liquidazione del debito" è puramente astratta e non consente le predette valutazioni;
che l'Organismo di mediazione, pur invitato all'eventuale integrazione degli atti con l'ordinanza interlocutoria del 18.5.2015, non ha ritenuto di depositare alcun documento;
che ai sensi dell'art. 13 d.m. n. 180/2010 deve disporsi l'invio del presente provvedimento di rigetto anche all'Organismo di mediazione omissis e al responsabile del predetto Organismo;
 
PQM
 
1- rigetta l'istanza di omologazione ex art. 12 d. lgs. n. 28/2010;

2- manda alla cancelleria di inviare copia del presente provvedimento di rigetto anche al responsabile dell'Organismo di mediazione, omissis, nonché al responsabile del predetto Organismo.

[ giovedì 25 giugno 2015 ]

Tribunale di Verona, 25 giugno 2015

Mediazione e negoziazione assistita in tema di diritti reali e risarcimento danni (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2015)


41/15. Mediazione e negoziazione assistita in tema di diritti reali e risarcimento danni (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2015)

 
=> Tribunale di Verona, 25 giugno 2015
 
Qualora siano proposte due domanda, una – in tema di diritti reali - rientrante nella disciplina della mediazione obbligatoria, ed una relativa al risarcimento dei danni patiti per effetto della condotta censurata nella prima domanda, ma – in quanto non attinente la lesione della componente non patrimoniale del diritto di cui alla prima domanda – non soggetta alla mediazione obbligatoria ex art. 1-bis. D.lgs. n. 28/2010, è opportuno, al fine evitare di separare le due domande per consentire lo svolgimento del procedimento di mediazione sulla prima, demandare alla mediazione anche la controversia sul danno in applicazione del disposto dell’art. 5, comma 2 d. lgs. 28/2010.
 
La domanda per il risarcimento dei danni indeterminata nel quantum non è soggetta a negoziazione assistita obbligatoria ai sensi dell’art. 3, comma 1 d.l. 132/2014, convertito dalla legge 162/2014.
 
 
 
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2015
 
Tribunale di Verona
ordinanza
25 giugno 2015
 
Omissis
 
Rilevato che
 
gli attori, con atto di citazione notificato in data 11 marzo 2015, hanno convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale il --- per sentirlo condannare al ripristino dello status quo ante di un’area cortiva, originariamente destinata a giardino, e la cui proprietà spetta in comune ad attori e convenuto che quest’ultimo aveva trasformato in parcheggio;
gli attori hanno anche avanzato domanda di condanna del convenuto al risarcimento dei danni non patrimoniali, da determinarsi in corso di causa, che hanno assunto di aver patito per effetto della predetta condotta, sul presupposto che essa avrebbe determinato un cambiamento delle loro abitudini di vita;
la prima delle predette domande ha introdotto una controversia in materia di diritti reali che, ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis d. lgs. 28/2010, è soggetta a mediazione obbligatoria;
tale considerazione non vale per l’altra domanda, proposta dagli attori, atteso che essa attiene non già alla lesione della componente non patrimoniale del diritto reale di cui gli stessi sono titolari ma alla lesione del loro diritto alla salute;
peraltro essa, essendo indeterminata nel quantum, non è nemmeno soggetta a negoziazione assistita obbligatoria ai sensi dell’art. 3, comma 1 d.l. 132/2014, convertito dalla la legge 162/2014, che è entrato in vigore il 9 febbraio di quest’anno;
alla luce delle superiori considerazioni la domanda risarcitoria andrebbe separata da quella fondantesi sul diritto di comunione per consentire lo svolgimento del procedimento di mediazione su quest’ultima ma tale soluzione rischierebbe di compromettere ab origine la prospettiva conciliativa poiché le parti si troverebbero a trattare di una parte solamente della complessiva controversia tra loro pendente;
per ovviare a tale inconveniente è opportuno demandare alla mediazione anche la controversia sul danno lamentato dagli attori in applicazione del disposto dell’art. 5, comma 2 d. lgs. 28/2010.
 
PQM
 
Fissa alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione del presente provvedimento per presentare l’istanza di mediazione in relazione alla controversia sul diritto di comunione.

Dispone la mediazione sulla controversia risarcitoria fissando a tal fine alle parti il medesimo termine sopra indicato e rinvia la causa all’udienza del ---.

[ venerdì 09 gennaio 2015 ]

Alle Banche conviene attivare e partecipare alla mediazione, altrimenti il decreto ingiuntivo decade!

Trib. di: Ferrara - Sentenza del: 07-01-2015 - Giudice: Anna Ghedini
Materia: Contratto bancario, Opposizione a decreto ingiuntivo - Argomento: Effettivo svolgimento del primo incontro, Improcedibilità della domanda, Mediazione obbligatoria


Ferrara, 7.1.2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

Tribunale di Ferrara

Sezione Civile

 

Opposizione a decreto ingiuntivo

 

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Ghedini ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. promossa da:

ATTORE/I

contro

CONVENUTO/I

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso: parte opponente come da verbale del parte opposta come da foglio allegato al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

Oggetto: opposizione a DI

IN FATTO ED IN DIRITTO

La presente causa inerisce opposizione a decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto da

………….

nei confronti di

…………  .

E’ pacifico che la causa riguarda rapporti derivanti da contratto bancario, e quindi rientra nell’ambito di applicazione della cd mediaconciliazione obbligatoria prevista dal D.lgs 4.3.10 n. 28 all’art. 5. Altrettanto pacifico che il tentativo di conciliazione non è stato esperito da nessuna delle due parti in causa, nemmeno entro il termine assegnato dal GI alla udienza del 8.5.14.

Nessun dubbio quindi che la opposizione debba essere dichiarata improcedibile. La questione su cui dibattono le parti e su cui questo giudice è chiamato a decidere è quella inerente la sorte del decreto ingiuntivo opposto: se esso debba essere revocato o se, per contro, esso divenga definitivo in conseguenza della improcedibilità della esecuzione.

Ritiene questo giudice che la causa di opposizione a decreto ingiuntivo debba essere considerata procedimento unico con riguardo alla fase sommaria di richiesta ed ottenimento del decreto, e non possa essere qualificata come fase, diversa ed ulteriore, di impugnazione del decreto ingiuntivo: “in altri termini, il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma da luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione” ( Cass. 1586 del 2012 in parte motiva).

In ragione della natura del credito e del supposto probatorio di cui gode la legge consente al creditore di chiedere ed ottenere un provvedimento di condanna al pagamento di una somma o alla consegna di una cosa inaudita altera parte, in esito ad una cognizione tipicamente sommaria da parte del giudice adito: la cognizione piena ed ordinaria è rimessa ad una fase eventuale e successiva, la cui instaurazione è rimessa alla iniziativa del debitore ingiunto.

Una volta notificato il decreto, e quindi instaurato il contraddittorio con il debitore, quest’ ultimo ha sostanzialmente due possibilità: prestare acquiescenza al decreto e consentire il passaggio in giudicato o proporre, nei termini di legge, opposizione contestando la pretesa creditoria azionata. In tale secondo ed ultimo caso si instaura un giudizio a cognizione piena che segue le regole ordinarie.

Il giudizio di opposizione riguarda la domanda azionata, in forma sommaria, dal creditore con il ricorso monitorio: è il ricorso monitorio a segnare i limiti del thema decidendum della opposizione, tanto che è il creditore opposto, malgrado nel meccanismo della instaurazione successivo della instaurazione del giudizio di cognizione piena giochi il ruolo di convenuto, a rivestire la qualifica di attore in senso sostanziale.

La domanda azionata è quella del creditore con ricorso per decreto ingiuntivo: domanda rispetto alla quale il debitore ingiunto si trova ad essere convenuto in senso sostanziale. La opinione sul punto della S.C. è conforme: l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo non è azione di impugnazione della validità del decreto stesso (per tutte, Cass. 1052/1995), ma introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto – che assume la posizione sostanziale di attore – (e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente); con la conseguenza che la sentenza che decide sull’opposizione deve accogliere la domanda, rigettando l’opposizione medesima, quante volte riscontri che le condizioni dell’azione proposta in sede monitoria sussistano al momento della decisione ( Cass. 23583 del 2010 in parte motiva).

Ed ancora in parte motiva Cass. n. 8539 del 2011: “è opportuno premettere che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, il quale, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio, investe il giudice del potere-dovere di statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni e difese contro la stessa proposte, con la conseguenza che l’opponente, pur assumendo normalmente la veste di attore, viene a trovarsi nella posizione sostanziale di convenuto, mentre l’opposto, formalmente convenuto, dev’essere considerato attore dal punto di vista sostanziale.”

Quindi la norma di cui al D.lgs 28 del 2010, laddove stabilisce che “ l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” deve essere interpretata e applicata in relazione alla domanda azionata nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ovvero alla domanda spiegata dal creditore opposto.

Nonostante l’attore in senso formale sia il debitore opposto, attore in senso sostanziale è il creditore e quindi a lui spetta l’onere di instaurare la procedura di mediazione. In considerazione della natura peculiare del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo la legge ha espressamente previsto che la mediazione non debba essere esperita obbligatoriamente prima del deposito del ricorso monitorio, ma ha stabilito che la obbligatorietà diviene operativa dopo la pronunzia del GI della opposizione sulle richieste ex artt. 648 e 649 cpc, ovvero dopo la celebrazione della udienza ex art. 183 cpc. Ritiene questo giudice che l’onere dell’ esperimento della mediazione spetti al creditore ingiungente e successivamente opposto, in ragione della individuazione della domanda spiegata in giudizio e della sua titolarità in senso sostanziale.

Di conseguenza, se la mediazione non viene promossa, a divenire improcedibile è la domanda del creditore azionata in ricorso monitorio con conseguente decadenza del decreto ingiuntivo. Non si ignorano le obiezioni mosse da taluna giurisprudenza di merito in riferimento a tale posizione. Si rileva, da parte di chi sostiene che la improcedibilità comporti la definitività del decreto incombendo l’onere della instaurazione della mediazione alla parte opponente:

– che è irragionevole che un provvedimento che la legge ha indicato come suscettibile di passare in giudicato debba decadere: tale argomentazione prova troppo in quanto il decreto ingiuntivo è solo potenzialmente in grado di assumere efficacia di giudicato, e tale eventualità è rimessa alla mancata tempestiva opposizione;

– che non è coerente pretendere che sia il creditore a promuovere un adempimento che attiene alla attivazione del processo instaurato dal debitore, quando il creditore dispone già di un titolo: tale motivazione attinge alla stessa ratio che fonda la argomentazione precedente. Il creditore ha un titolo la cui definitività è subordinata alla mancata opposizione; la proposizione della opposizione impedisce il formarsi del tiolo esecutivo e trasferisce la vertenza sulla esistenza e quantificazione del credito nella sede della cognizione piena, rimettendo in discussione tutto il titolo.

– che la revoca del decreto non impedirebbe al creditore di promuovere nuovo ed analogo ricorso monitorio di identico contenuto con conseguente aggravamento del carico giudiziario; tale argomentazione farebbe pesare motivazioni di politica giudiziaria legate alla esigenza deflattiva sulla interpretazione della norma in punto di improcedibilità non tenendo conto che sempre quando un decreto ingiuntivo viene revocato per motivi di rito è pacifico che il creditore possa nuovamente ripercorrere la via monitoria.

Inoltre pare del tutto ragionevole che la spesa, sia pure non di significativo importo, della procedura di mediazione sia posta a carico della parte che ha promosso la domanda e non di chi vi resiste in giudizio: se il creditore avesse scelto la via ordinaria per ottenere l’accertamento del proprio credito e la condanna del debitore all’adempimento è pacifico che l’onere della mediazione sarebbe stato a suo carico. Queste le considerazioni, ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo per improcedibilità della domanda monitoria.

Attesa la obiettiva novità della questione ed il contrasto giurisprudenziale di merito sul punto, assente per ora una pronuncia di legittimità, le spese meritano di essere compensate.

 

PQM

 

Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza disattesa, dichiara improcedibile la opposizione e revoca per l’effetto il Decreto ingiuntivo opposto. Dichiara compensate fra le parti le spese di causa.

 

Ferrara, 7 gennaio 2015.

Il Giudice dott. Anna Ghedini

Concilia: La Mediazione è l'arte del buon senso.

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